E quando il gioco si rifà duro, i capitani si mettono a giocare: a testa alta e a petto in fuori, un filo di barba che fa assai macho e il tackle dialettico che spazza via l’aria (e l’area) da quel venticello lieve (!?) delle allusioni. « Temo tutti e però penso che anche gli altri debbano temere anche un po’ me: sennò qua sembra che sono io il pollo». Napoli è un capitano: e in quella bandiera che sventola sul pennone, con la fierezza di poco meno di trecento partite d’azzurro vestito, c’è il senso (civile) d’una ribellione al fuoco concentrico d’una critica severa, a pregiudizi presi a pallonate per una vita intera. Si scrive Cannavaro e si rilegge una carriera intera consumata – suo malgrado – all’ombra d’un luogo comune e d’un fratello strepitoso: però la storia è in quelle cifre da capogiro che resistono all’usura del tempo, in questi sette anni attraversati ripartendo dalla serie B e consegnati poi alle bacheche con la promozione in A, la coppa Italia, due qualificazioni in Champions e il senso auotoironico della vita. « Quasi quasi va a finire che il pollo sono io, eh! ».
LEGITTIMA DIFESA – Napoli è l’habitat naturale inseguito dalla culla: il primo vagito a «La Loggetta» e il primo urlo al san Paolo. Poi, un lento vagare, aspettando il momento buono: da Parma al Verona, dal Bentegodi al Tardini, per riprendersi il destino a definirlo a modo proprio, da capitano, un capitano. « Sono stati anni bellissimi, quando si ricomincia con un nuovo allenatore bisogna resettare tutto: siamo felici di essere qua, in una squadra che ha aggiunto campioni all’organico. Vero: abbiamo perso calciatori importanti, ma altri ne sono arrivati. E serviranno per renderci sempre più competitivi ».
MESSAGGIO CHIARO – Paolo il caldo è un uomo tutto d’un pezzo e lo spettacolo del week-end è in quella risposta seria, fulminante, decisa come un’entrata in scivolata all’ennesimo capitolo d’un mercato sempre aperto: si cerca un difensore, è arrivato anche Albiol, c’è sempre maggiore concorrenza. Il passato che ritorna è in quella scalata imperiosa avviata nell’estate del 2006, in un curriculum vitae nel quale la maglia da centrale gli è stata consegnata – in sequenza – da Reja e da Donadoni, da Mazzarri e ora da Benitez, in quella fascia che gli riconosce l’onore del ruolo da leader e in una napoletanità che forse gli riserva l’onere di doversi sentire perennemente in bilico dinnanzi ad Albiol: « Ma mica sono un pollo….!. ». Il mercato è una giostra, maschere che s’avvicendano: c’era una volta Astori, poi comparve anche Rami e ora che Skrtel è tornato a farla da padrone nel vociare di un’estate chiaramente rovente, il desiderio di rievocare ciò ch’è stato e di ricordare ciò che vorrebbe fosse sino al 2015 emerge con quella battuta utile per riproporre le gerarchie già scandite dal campo. « Temo tutti e penso che anche gli altri debbano temere un po’ me…. ».
CARA VECCHIA SIGNORA – E per la serie « accà nisciuno è fess », ladies e gentlemen, il Cannavaro che t’aspetti sa come falciare il sospetto d’una epoca a rischio, e va dritto al cuore della questione, riducendola a chiacchiericcio momentaneo e sistemando nel bel mezzo della propria retroguardia a quattro. « Intanto, per il sottoscritto ma anche per altri è un ritorno al passato: io ci ho già giocato e l’hanno fatto anche altri calciatori di questo Napoli, qualcuno persino nella propria Nazionale. Non c’è nulla di rivoluzionario o di ignoto. Sappiamo cosa fare e poi c’è Benitez che è una garanzia: abbiamo con noi un allenatore che ha vinto tanto e che ci guida, con il quale stiamo lavorando per migliorarci. E non è neppure complicato rispondere a chi chiede se e quanto siamo vicini alla Juventus: nella passata stagione abbiamo avuto modo di essere sempre in prossimità dei bianconeri, ed in precedenza pure eravamo stati in lotta nei quartieri alti della classifica. A maggior ragione lo siamo adesso ». Il gioco s’è fatto duro…
Fonte: Corriere dello Sport.
La Redazione.
D.G.
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