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Cannavaro, il capitano dal contratto ‘precario’: “Da sempre criticato, ora basta”

«Passerà anche questa, è una fesseria» ha detto Paolo Cannavaro agli amici, prima di regalarsi una cena a Londra, appellandosi al lato zen del suo carattere, quello che gli ha permesso di passarne, e di vederne passare, tante altre. Intanto il capitano del Napoli tiene le antenne dritte perché si sta accorgendo che ci sono situazioni da approfondire, persone da capire. Ne ha passate tante, e forse questo non è che sia un momento particolare. Ma qualcosa non va. E lo si capisce da alcuni suoi messaggi: «In questi sette anni azzurri mi sono sempre difeso dagli attacchi mediatici sul campo mostrando la mia vera forza», ha sbottato dal suo profilo Instagram poche ore prima della gara (che non ha giocato) con il Porto.
L’assenza nella partita contro i lusitani non è un giallo: Benitez ha ruotato gli uomini in difesa, in un legittimo turnover da gare di allenamento. Però il capitano ha mostrato di non aver digerito qualche commento (fin troppo) negativo legato alla sua prestazione con l’Arsenal. E ha spiegato, seccato. «Non ho brillato, ma sono da tre anni protagonista. Era un’amichevole estiva dove si cerca la condizione per migliorare e iniziare bene il campionato», scrive puntando il dito su chi ha preso troppo sul serio questa partita che, di fatto, è la seconda apparizione della stagione dopo quella col Galatasaray. Basta guardare il calendario: è il 5 agosto, mancano 19 giorni all’inizio del campionato. Manca tutto, e a tutti: anche ad Albiol che non ha certo brillato per ritmo, intensità, cattiveria. All’Emirates si gioca il calcio d’agosto, anzi di inizio agosto. E si vede, è normale.
La rabbia di Cannavaro è legittima e umana. Non è facile all’età di 32 anni e con 267 partite giocate con il Napoli (quasi tutte da capitano) sentirsi messo in discussione nella piazza che anche grazie alla sua professionalità è salita dalla serie B fino alla Champions. Sentirsi come uno che debba sempre dimostrare il suo valore. Il destino di Cannavaro a Napoli è fatto di queste cose, passa dall’altare alla polvere da una partita all’altra. «Mi fa urtare il fatto che ad ogni inizio di stagione, il mio posto di titolare venga sempre messo in discussione. Mi chiedo, perché, a chi fa gioco tutto questo. Non capisco, perché dovrei essere io a preoccuparmi e non gli altri colleghi che dovranno contendersi con me il posto», ha sentenziato venerdì avendo al fianco l’allenatore Benitez. Uno con cui va d’accordo fin dal primo giorno.
Il punto è che lui è la bandiera del Napoli, il testimonal della «napoletanità» in azzurro. Ma nel calcio le bandiere non sventolano gratis. E c’è una società che indugia a rinnovargli il contratto anche se non è in scadenza imminente (termina nel 2015). La società lo blandisce con parole dolcissime, definendolo campione, bandiera, simbolo, pietra miliare del progetto e via enfatizzando, ma poi affronta con cinica (e assolutamente legittima) freddezza il negoziato per il rinnovo del contratto. Che, per capirci, è quello che con 700mila euro a stagione (più o meno la cifra che Rolando ha preso in sei mesi di anonimato nel Napoli) percepisce in azzurro. Con Insigne, quello che prende di meno tra i titolari. «Mio fratello Paolo? Ha un contratto particolare, credo che la clausola che lo riguarda debba essere rivista ma se mio fratello l’ha accettata un motivo dovrà esserci», dice Fabio, il primogenito dei Cannavaro.

Fonte: Il Mattino

La redazione
F.G.

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