L’ultimo giorno di Paolo Cannavaro è stato quello più triste. Quello dei saluti, del suo armadietto svuotato tra le lacrime di Inler e Hamsik, tra i musi lunghi e senza sorriso persino di quelli arrivati da poco come Callejon e Reina, tra le telefonate di Mertens e Maggio che fino all’ultimo istante lo scongiuravano di non partire. E del pianto a dirotto degli steward di Castelvolturno, come se ad andare via fosse uno di famiglia. Un tweet scuote il silenzio intorno alla sua partenza. «La sensazione è quella di aver perso un punto di riferimento», scrive Behrami salutando il capitano. Già, perché dopo sette anni e sette mesi si ammaina l’ultima bandiera azzurra. Paolo Cannavaro va al Sassuolo.
Il giro di giostra con Benitez è fatto di attriti, dolori e imbarazzi. Ma lui non ha nessuna voglia di polemizzare. Con nessuno. Da vero capitano, da sesto azzurro nella storia per presenze. «È un giorno triste ma non voglio pianti, voglio solo sorrisi. In tanti hanno cercato di convincermi a restare qui, in quella che io considero casa mia. Ma io voglio giocare ancora, il campo mi manca. Questa azzurra non è stata una maglia, ma una seconda pelle», spiega Paolo Cannavaro. Il suo è un saluto speciale ai tifosi del Napoli che gli hanno voluto bene. «Ho vissuto giorni fantastici, e ancora oggi io se penso ai sette anni e mezzo vissuti qui penso solo ai momenti meravigliosi, alla stadio pieno, alle vittorie: dalla promozione in serie A quel pomeriggio a Genova alla Coppa Italia alle notti magiche in Champions. Nulla rovinerà quello che di splendido ho vissuto con la maglia del mio Napoli, neppure questi ultimi mesi in cui non ho giocato. La vittoria che non mi posso tatuare è una: grazie anche a me e alle nostre vittorie tanti ragazzini tifano Napoli, mentre negli anni bui tutti si sono convertiti a Milan e Juventus».
A Paolo Cannavaro verrebbe voglia di dire: messo da parte. Ma non lo dice. È stato trattato come un esodato, come uno di più. «Lascio una squadra che può vincere lo scudetto se la Juve rallenta o l’Europa League. È un gruppo fantastico, che pensa solo a lavorare». Al Sassuolo ha firmato un contratto fino al 2017, dove guadagnerà due volte quello che prendeva a Napoli. In più una clausola: in caso di retrocessione, tornerà in azzurro. Non ce l’ha con nessuno, almeno a parole: «Saluto tutti i tifosi del Napoli, quelli che mi hanno voluto bene e anche quelli che mi hanno spesso criticato senza motivo», conclude Cannavaro. Che manda un messaggio speciale proprio a chi adesso fischia Insigne proprio come qualche volta faceva con lui: «Non vi lamentate se un giorno Lorenzo volesse andare via, la gente ci pensi prima di contestarlo in maniera premeditata».
Va via Paolo. In prestito fino a fine stagione. Solo una formula di rito, perché questo è un addio vero e proprio dal Napoli. L’ultima bandiera azzurra si ammaina. 278 partite dopo. Non ha dormito con la Coppa del mondo e non ha giocato nel Real Madrid, nella Juventus e nell’Inter, ma Paolo Cannavaro ha qualcosa di prezioso che suo fratello Fabio ha soltanto immaginato e sognato: la fascia di capitano del Napoli. Fosse stato per Cannavaro sarebbe rimasto a vita: voleva rinnovare il contratto l’estate scorsa ma De Laurentiis alzò il muro. È rimasto in silenzio in questi mesi, vedendosi scivolare chiunque davanti a lui. Mai una parola contro Rafa, mai la tentazione di sfogare la sua rabbia per una esclusione che col passare dei giorni diveniva sempre più rumorosa. Va a Sassuolo perché lì trova Alberto Malesani: è stato proprio il tecnico a convincerlo ad accettare il trasferimento in Emilia. Malesani lo fece debuttare a 18 anni e 10 mesi nel Parma in serie A. Non un Parma qualsiasi: c’erano Buffon, Thuram, Crespo e il fratello Fabio. Torna in Emilia, a due passi da quella che è in fondo la sua seconda casa.
fonte: il mattino
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