Il sindaco de Magistris già nell’intervista al Mattino pubblicata l’ultimo giorno dell’anno scorso, annunciava l’interesse suo e della giunta di voler spostare lo stadio per il nostro «grande Napoli» in una zona più consona. Oggi sembra che tale intenzione stia assumendo fattibilità. Vorrei soffermarmi, sulla opportunità dal punto di vista architettonico-urbanistico dello spostamento dello Stadio e sui benefici che l’operazione può offrire alla città ed in particolare al quartiere Fuorigrotta, una di quelle opere novecentesche più meritevoli.
Come è noto nel 1937 si diede l’avvio allo sviluppo dell’area ovest di Napoli assieme a quel capolavoro che fu la Mostra d’Oltremare con un planovolumetrico realizzato da Marcello Canino. In meno di tre anni furono realizzate tutte le infrastrutture di collegamento – interramento dei binari ferroviari, realizzazione delle stazioni della cumana ad opera di Frediani, Viale Augusto come rapido collegamento con la città storica, in stretto rapporto con il costruendo Piazzale Tecchio, lo sferisterio di Franco Tortorelli – ed il complesso della Mostra, nonostante la sua temporaneità, diventò un significativo richiamo architettonico suscitando l’interesse della cultura più avanzata del tempo. I trentasei padiglioni espositivi, la grande fontana con esedra, l’arena flegrea, il parco archeologico, quello faunistico e quello dei divertimenti, la funivia per Posillipo, furono quasi tutti frutto di concorsi di progettazione che portarono a Napoli grandi nomi come Ventura che realizzò laTorre delle Nazioni o Zanetti, Racheli e Zella Melillo che realizzarono il Cubo d’Oro, ma partecipò alla progettazione anche gran parte dei docenti della facoltà di architettura di Napoli, da poco costituita e il grande cantiere rappresentò la palestra esercitativa per tutti i neolaureati e per gli studenti della stessa. Nel maggio del ‘40 fu inaugurata assieme all’intero quartiere Fuorigrotta. L’entrata dell’Italia in guerra segnò non solo il degrado della Mostra ma il blocco di quanto altro era previsto a completamento dell’urbanizzazione.
Immediatamente dopo l’armistizio i maggiori esponenti della cultura architettonica, Luigi Cosenza, Carlo Cocchia, Raffaello Salvatori e tanti altri, progettarono nell’area i migliori esempi di case popolari su modello dei razionalisti tedeschi ed in anticipo rispetto alle altre città italiane. Sicuramente un significativo tassello fu dovuto ad un altro importante concorso, di architettura, bandito dal Coni nel ‘48, per la realizzazione dello stadio San Paolo, vinse un folto gruppo capeggiato da Carlo Cocchia che realizzò un progetto razional-funzionalista dalle alte qualità che all’atto dell’ inaugurazione, nel dicembre del ’59, non solo consentì al nuovo quartiere di raggiungere il massimo del suo splendore ma Napoli ebbe un’opera atta a competere con le significative architetture sportive dell’epoca. E’ inutile soffermarci sui danni e le manomissioni che il quartiere tutto e lo stadio in particolare hanno subito in occasione dello sperpero di denaro verificatosi con i Mondiali del ’90.
Oggi i tempi sono cambiati, Fuorigrotta rappresenta un quartiere non più periferico, è ricco di attività residenziali e terziarie ed ogni qual volta il Napoli gioca in casa, questo si paralizza totalmente. La Mostra nel suo progetto di riqualificazione, ha in procinto di aprire due significative architetture rifunzionalizzate un albergo nel palazzo degli uffici ed un complesso congressuale multisala nel padiglione della Sanità, Razza e Cultura; si prepara ad ospitare gli eventi legati al forum delle culture. L’architettura dello stadio da vent’anni ormai grida vendetta per il groviglio di ferro di cui è stato caricato per dargli una tozza copertura. A Fuorigrotta transiterà la nuova pista ciclabile voluta dal Sindaco ed è ora di ridare lo splendore originario, con un attento progetto di restauro del moderno, al San Paolo che rifunzionalizzato può ospitare manifestazioni sportive e costituire per il quartiere e la città un significativo centro sportivo polifunzionale che al pari dell’annunciato Ascarelli all’Arenaccia e quello del Collana al Vomero rappresenterebbe una compensazione ricreativa all’aperto a tanta cementificazione di cui la città è stata vittima nell’ultimo cinquantennio. Sarebbe auspicabile coinvolgere in questa operazione anche il restauro dello sferisterio abbandonato ormai da oltre vent’anni.
Il nuovo stadio sia fatto, ci vuole, non nel centro, magari come avvio alla tanto attesa riqualificazione dell’area Est della città, ma che sia anche un valido brano di architettura contemporanea di cui la città oggi è carente.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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