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Callejon: ”Il calore di Napoli ha abbattuto le distanze. Ho deciso di vivere al centro perchè…”

Otto milioni e ottocentomila euro per prendersi un Callejon del genere, molto più d’un goleador, di quelle diciassette reti che rappresentano la cassa di risonanza d’una versatilità più unica che rara. Callejon è uno e trino, talvolta persino quadruplo, perché l’esterno – quelle che chiamavano ala, un tempo – ha facilità d’espressione (chiaramente) sia a destra che a sinistra; ma quando gli è stato chiesto d’inventarsi prima punta classica, per far uscire Higuain, lui s’è calato nel ruolo; e poi quando è stato necessario svestirlo pure da quei panni, per fargli indossare la maschera da trequartista, il Fregoli in salsa partenopea ha provveduto; e se persino gli è stato suggerito di «inventarsi» difensore di destra, il fluidificante d’una volta, c’è voluto un istante a cambiar pelle, pur restando fedelmente Josè Maria Callejon. L’uomo ovunque, mica uno qualsiasi.
Si scrive Callejon e si pensa a Benitez e Mourinho: lei pure in questo è unico nel suo genere, lo saprà?
«Mou mi saltava sulle spalle, dopo i gol: e sono stati momenti di allegria e di puro divertimento che ho vissuto e che ricordo con piacere; Rafa mi ha voluto qui, mi ha fatto sentire importante, mi ha offerto una opportunità. Sono diversi, non devo dirlo io, ma degli uomini non colpiscono le differenze, semmai la stessa idea di gestire un gruppo unito e portarlo a vincere. La fortuna è averli incontrati: posso dire di avere avuto i due tecnici più forti al mondo».
Se ripensa alla profezia di Benitez, a quel «segnerà almeno venti gol»?
«Ma sono ancora a diciassette e la strada s’è accorciata. Diciamo che così va bene, ma sarebbe bello riuscire ad accontentare il mister».Dopo la sua prima rete, al Bologna, arrivarono valanghe di sms.
«Cristiano Ronaldo battè tutti sul tempo, poi mi scrisse Mourinho».CR7: il mito.
«Il più forte calciatore, al momento. E, com’era giusto che fosse, gli è stato assegnato il Pallone d’oro. Mentalità straordinaria, la sua: scrupoloso, un perfezionista. Ha fame, non gli piace perdere. Mai. E poi lo ritengo il più completo, attualmente superiore a Messi. Aggiungerò che da ragazzino ero perso per Ronaldo, il Fenomeno».

In Italia le piacciono, la citiamo… Totti.
«Vederlo giocare in quel modo, a quell’età, è un piacere per gli occhi. E’ stimolante, direi trasmette felicità».

Encantado da Pirlo.
«A volte mi viene il sospetto che sia il più spagnolo degli italiani. Di bravura esemplare, sta in campo con leggerezza. Ha piedi, ha testa, ha tutto: a me piacciono i cervelli e lui lo è».

Perdoni: perché si lascia il Real Madrid?
«Per poter avere maggiore continuità di rendimento, per poter giocare di più, per dare una svolta alla carriera. Non è stato facile, quello è un club dal quale non ci si stacca mai, né lo farò io, però a un certo punto il mio amore per il calcio ha prevalso. Ed è arrivato il Napoli».

Benitez come la convinse?
«Varie e decise telefonate. Mi descrisse il progetto, mi raccontò di questa società. Avevo qualche offerta, ma fui persuaso da tutto ciò: posso dire però a questo punto di non essermi sbagliato».

Cosa vi è mancato per recitare da protagonisti, sempre ?
«L’inizio è stato fantastico, le prime giornate di campionato e il successo sul Borussia Dortmund hanno mostrato la bontà dell’impianto e la nostra capacità di essere anche spettacolari. Poi forse è venuta meno la concentrazione contro quelle che vengono chiamate piccole: nelle sfide importanti, tranne rare eccezioni, non abbiamo mai fallito; è stato in gare apparentemente più agevoli che ci abbiamo rimesso troppi punti. E adesso, però, c’è la finale di coppa Italia: sarò banale, ma vogliamo vincerla».

Maglia numero 7, quella di Cavani.
«Al Real avevo il 21, ma qui era già occupata. E visto che l’aveva lasciata libera Cavani, allora ho pensato di cogliere quel privilegio. Aggiungerò che con il 7 ci ha giocato, a Madrid, Raùl, uno dei miei idoli».

L’umiltà che traspare da ciò che dice è nelle origini.
«I genitori m’hanno tirato su con sacrifici, vendevano frutta e verdura ma non hanno mai smesso di insegnarci la vita, di spiegarci che bisogna lottare. Il punto fermo della mia vita è la famiglia: il calcio, se le cose vanno bene, rende l’esistenza semplice».

Si può dire: innamorato di Napoli.
«Sono arrivato da Madrid, altro ambiente molto caldo, dove il football è importante, con pressioni enormi. Ma qui ho scoperto che il calcio ha lo stesso valore d’una religione. Ho scelto di vivere il centro della città, per assorbirla sul serio, e non ho rimpianti, perché tra la gente ci sto bene, non mi sento turbato. E poi sono anche assai casalingo, esco poco, me ne sto con mia moglie Marta, con Paula mia figlia di dieci anni e ora aspettiamo India, che nascerà tra un po’. Mi godo lo spettacolo da Posillipo: è fantastico. E quando capita, o pizza o mozzarella o pasta. Si può dire, dunque».

Così si combatte la nostalgia.
«Certo che mi piacerebbe avere i genitori, i miei amici e Motril. Ma il calore di Napoli ha abbattuto le distanze».

Juanmi sta per Juan Miguel.
«Il mio gemello. E’ in Bolivia, abbiamo giocato uno a fianco all’altro fino ai ventuno anni, stesso ruolo, cambia la maglia: lui ha preferito la 15. Siamo legatissimi e ci piacerebbe ritrovarci un giorno nello stesso club».

Entrare nel cuore della gente, ovunque, non è mai esercizio facile.
«Forse le diciassette reti hanno facilitato il compito; o forse la gente ha colto il mio modo di essere. Non inseguo la gloria personale, mi interessa far bene per il Napoli».

L’altruismo pare una dote, e poi la generosità: sarà per questo che è tra i calciatori con il minutaggio più alto, testimonianza del gradimento di Benitez.
«Ho sentito dal primo istante la sua fiducia: probabilmente ciò ha rappresentato un’ulteriore molla. Poi è venuta la risposta del campo: ho giocato tanto e segnato tantissimo e questo ha accresciuto l’autostima. Ma alla base c’è quello che accade in settimana, ciò che si studia e si prepara».

Il Napoli le ha lasciato la possibilità di dialogare ancora con Higuain.
«Ci capiamo al volo, con lui è tutto naturale, spontaneo, quando uno ha la palla sa bene cosa si aspetta l’altro. Il passato e questa conoscenza dalle stagioni con il Real ha favorito l’intesa. E poi, se non s’è capito, per me lui è il più forte e poi generoso, perché fa tutto in funzione della squadra».

Cosa s’aspetta Callejon?
«Di arrivare il più in alto possibile con questo Napoli. Io qui sto bene e avverto la simpatia del popolo. E’ un affetto contagioso».

Sta per scoccare l’ora dei Mondiali.
«Non sarà facile, perché la Spagna ha calciatori di grandissimo spessore; ma sperare non costa nulla. E io sono tra quelli che possono farlo».

Scelga i due suoi gol più belli, tra i diciassette segnati.
«Non spetta a me. Ma voto quello di Firenze e il primo in coppa Italia con l’Atalanta. Beh, questo m’è piaciuto davvero tanto».

Fonte: Corriere dello Sport
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