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Callejon e sono già 6. In campionato segna sempre lui, e non ha intenzione di fermarsi

CHE GIOIELLO. Business is business: però in quegli 8 milioni e 800 mila euro, una “miseria” per gli standard del calcio internazionale, c’è l’incantevole illuminazione verso un’opera d’arte di stanza nei pressi del Prado e poi esposta al San Paolo (o a San Siro, o altrove), in un museo del calcio che José Maria Callejon sta impreziosendo di suo. Ci sono pennellate d’autore che si accavallano, quest’anno è a quota 6, due in più di ciò ch’era stato capace di creare appena dodici mesi fa, quand’intorno ancora s’avvertiva un pizzico di prudenza: e Milano non ha nulla di “miracoloso”, perché la dinamica è identica e la scuola immutabile, tratteggiata come uno schizzo d’arte, lo scatto al di là della linea dei difensori, un compagno capace di coglierne l’ispirazione e di offrire al pallone i giri giusti, poi il tocco – stavolta di sinistro, altre di destra – a trovare il palo corto o quello lungo.

LUI, CARLITOS E HONDA. Ci sono vette da scalare, per provare a danzare tra gli eletti: sei reti Callejon, sei anche Carlitos Tevez e quel “diavolo” di Honda, una “triade” cosmopolita che abbraccia tre Continenti e che offre una visione universale del football, modellandola ad uso e consumo degli interpreti. «Ma io quest’anno vorrei almeno arrivare a ventuno». Le promesse hanno gambe solide e un famelica voracità che spinge a superarsi, a lasciarsi rapidamente alle spalle l’amarezza per un’estate calcisticamente rovinosa, a strappare il poster del San Mamés dalle pareti dell’anima, a dimenticare Madrid (quella ch’è stata del Real, quella che poteva essere dell’Atletico innamorato perso di lui): adelante, per riprendersi il destino a risistemarlo ad immagine e somiglianza delle proprie favole.

OHHHH. La Grande Bellezza è nel gesto tecnico, ma pure nell’intelligenza di modulare la manovra, scegliendo i tempi giusti per scappare alle spalle del “nemico”: dalla Genova rossoblù al Palermo, dal Sassuolo al Torino e poi fino alla Scala del calcio, c’è un Callejon per sei volte stellare che afferra le copertine e tiene la scena soprattutto per sé, disegnando parabole perfidamente deliziose, tracciando arcobaleni che servono per mandare un po’ in frantumi la delusione d’una domenica pazza assai nella sua evoluzione e per spedire messaggi sublimi (mica subliminali) a Vicente Del Bosque, un esteta come Benitez, un critico d’arte da convincere mostrando l’altra faccia della tela della Spagna. «La Nazionale è il sogno di chiunque, ma io ora penso al Napoli». Ci sono prodezze che certi umani di nome José Maria Callejon lasciano nel tempo.

Fonte: Corriere dello Sport
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