Cristiano Doni ammette le combine e aggiunge nuovi particolari. Ma, soprattutto, Carlo Gervasoni è ritenuto «teste attendibile» e Marco Paoloni, l’ex portiere della Cremonese che fece scoperchiare il caso calcioscommesse, non è più «il millantatore» che tutti credevano, venendo invece riabilitato. Sono le novità che emergono alla ripresa degli interrogatori, alla procura di Cremona.
Su nuove partite, anche di serie A, si accendono i riflettori o, meglio, non si sono mai spenti. Succede soltanto che ci «sono accertamenti positivi perché confermano certe situazioni», come confida un investigatore. Allora ecco nuovamente nel mirino tre partite della massima serie, già citate anche dal dentista Mario Pirani, l’estate scorsa: Fiorentina-Roma, Genoa-Lecce e Inter-Lecce, tutte del campionato scorso. A queste si aggiunge Lazio-Genoa, del quale lo stesso Gervasoni aveva parlato, tirando in ballo i calciatori Stefano Mauri e Omar Milanetto e sul quale gli investigatori sono certi di avere materiale a sufficienza per confermare la combine: presenze di persone sospette nell’albergo della squadra e a Formello, telefonate a Singapore, dove opera la regia del clan.
«Sono parecchie le cose che stanno venendo a galla anche su partite di cui si era parlato durante la prima tranche d’inchiesta», conferma la stessa fonte. Paoloni, il calciatore capace di «avvelenare» i compagni di squadra negli spogliatoi per alterarne le prestazioni sportive, non era solo uno che parlava a vanvera, lasciano intuire gli investigatori. «Le millanterie non erano poi così tanto millanterie…».? Lui, che era un forte scommettitore, secondo gli investigatori sarebbe stato al corrente di quanto stava accadendo.
Ma ieri è stata la giornata di Cristiano Doni. L’ex capitano dell’Atalanta, sempre agli arresti domiciliari, ma non più in Trentino, bensì nella sua casa bergamasca, davanti al pm Roberto Di Martino ha «ammesso di aver tirato il rigore come concordato sul campo con il portiere Cassano». Ovvero, un penalty battuto forte e centrale, con il numero uno piacentino, invece, che si tuffa da un lato. Si inguaia così la posizione del portiere ventottenne, che difende ancora i pali del Piacenza, oggi sprofondato in Prima Divisione. Che quell’Atalanta-Piacenza 3-0 fosse combinata era ormai assodato. Doni lo ha confermato, aggiungendo particolari.
«La partita – ha detto il suo avvocato, Salvatore Pino – era già combinata, Doni ne era a conoscenza, ma la possibilità di portare punti alla squadra lo ha indotto a compiere un passo falso. Tuttavia non è stato lui ad alterare il risultato della partita». L’ex capitano atalantino, ormai abbandonato dai tifosi, ha dovuto rispondere su «molti argomenti sui quali in precedenza non era stato chiamato in causa», ha detto ancora Pino. Ma se l’obiettivo degli investigatori è quello di capire se l’Atalanta è in qualche modo «complice», Doni non ha fornito elementi. «Non è un giocatore corrotto, non è uno che si è venduto le partite, anzi ha sempre giocato per vincere», precisa Pino. Parlando di Doni come di un uomo distrutto: «Non aveva una vita sociale che non fosse legata alla squadra, alla società e alla città. È molto amareggiato dal gelo che ora lo circonda e si trova in forte difficoltà».
Anche Nicola Santoni, ex preparatore dei portieri del Ravenna e amico fraterno di Doni, è tornato davanti al pm, senza fornire elementi. E sui soldi (40mila euro) consegnati a Gianfranco Parlato, uno degli organizzatori del giro di scommesse, non avrebbe aggiunto particolari: «Erano soldi che gli dovevo, non erano di Doni».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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