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CALCIO MINORE – La storia di De Rosa, capitano ‘dottore’ del Pomigliano

“E chissà quanti ne hai visti, quanti ne vedrai di giocatori tristi, che non hanno vinto mai […] e adesso ridono dentro un bar”. Nulla contro De Grogori o la sua “Leva calcistica”, ma il bello dei cliché è che spesso, grazie a personalità di spicco da usare quindi come controprova, possono essere abbattuti, sdoganati. E per quanto sia uso comune associare la non-cultura ai calciatori di ogni livello e categoria, è bello incappare in storie come quella del dottor/capitan De Rosa. Rosario compie oggi 28 anni e la Redazione di Campaniagol.it è lieta di dedicargli, insieme agli auguri di prassi, l’odierno appuntamento con “SfiDe”, la rubrica tematica concernente i grandi protagonisti di quarta Serie. De Rosa è capitano e non solo, laureato in Scienze Motorie con specialistica in Scienze e management dello sport, ha lo scorso aprile alzato al cielo il primo trofeo della storia del Pomigliano e pochi giorni fa coronato la sua carriera universitaria. De Rosa non è una prassi, ma una mosca bianca e, nello stesso tempo, un monito alle mosche più giovani e meno riflessive, ad ‘incandidire’, ergo “lasciare più porte aperte, perché la vita non è solo calcio.” Sante parole. 

Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette – Proprio come un “Nino” qualunque (tornando al caro De Gregori), Rosario inizia a giocare nel suo paese. “Sono di Arzano, lì vivo con i miei praticamente da sempre. Ovviamente lì ho mosso i miei primi calci.” All’inizio è solo pura passione, ludo, gioia: “ma non è che ora sia da considerarsi una professione a tutti gli effetti. Mi spiego: in quanto a tempo investito e sforzi profusi, anche in D, siamo professionisti a tutti gli effetti, ma la burocrazia e la lungimiranza parlano chiaro: siamo ancora dilettanti e, da tali, dobbiamo essere intelligenti a capire che non si può vivere di solo calcio a questi livelli e che bisogna…” Lasciarsi più porte aperte, ecco.
La chiave giusta – A otto anni all’Arzanese, poi la Nereo Rocco di Secondigliano, passando per la Ciro Muro e, a quindici anni, il Prato. “A fine stagione, come ogni anno, tenemmo un provino. Fui preso dal Prato, all’epoca in C1”. Una stagione in una società satellite (il ragazzo aveva pur sempre 15 anni!) e poi l’approdo in un settore giovanile professionista. In quegli anni nelle file biancazzurre c’erano talenti del calibro di Alino Diamanti, Andrea Caracciolo, Denis Godeas ma il buon Rosario, la sua parte la faceva sempre. A 17 anni esordì in Prima Squadra. Poi, però, il sogno Prato si trasformò nel solito incubo finanziario. La società, man mano, cadde in un lento ed, allo stesso tempo, inesorabile declino che saprà di retrocessioni e tagli. Uno dei giocatori a pagarne il prezzo fu proprio De Rosa, rispedito a casa per carenza fondi. Ma la vita non è solo pallone e Rosario, nel frattempo, frequenta la Scuola di Ragioneria ed imparava “a cavarsela da solo” essendo rimasto senza ‘meridionali’ come lui partiti alla volta di Prato. Il diploma è prossimo.
Doppia vita – Il 2005 è un anno importante per Rosario. Si torna a casa, nella vecchia Campania Felix, c’è un diploma da conseguire e la prima esperienza in Prima Squadra da assaporare. “A 18 o 19 anni sei un po’ immaturo. Spinto dalla grande passione, credi che ci si debba buttare a capofitto nel solo calcio. Sbagliato: al calcio, però, devo il fatto di avermi aperto gli occhi su questo aspetto. Senza certe delusioni non avrei riflettutto.” La squadra che ingaggia il giovane centrocampista è il Marcianise di Bizzarro. La squadra, in quarta serie, è allestita per vincere e, in effetti, De Rosa fa il botto alla prima chance. L’anno dopo il Marcianise è in C ed a Rosario viene offerto un quinquennale. “Credevo di essermi sistemato a vita e non presi in considerazione l’ipotesi di continuare gli studi. Un giorno, però, mi accorsi che stavo commettendo un grave errore.” In seguito a vari qui pro quo con la dirigenza, De Rosa viene spedito a farsi le ossa in prestito in Eccellenza, prima Boys Caivanese e poi perfino qualche mese alla Capriatese. E’ li che si chiede cosa farà da grande. Ed è grazie ai suoi dubbi che troverà le giuste risposte.
The doctor – In quegli anni l’idea di iscriversi all’Università diventa una realtà concreta: la facoltà scelta sara Scienze Motorie, ovviamente non c’è cosa più bella che approfondire le proprie conoscenze in materie per cui ci si sente portati, appassionati. “Molti calciatori amano solo il calcio ma io, personalmente, amo ogni genere di sport, tutti.” E allora, con le esperienze in D (Pianura e Viribus) arriva la triennale, De Rosa è un centrocampista tenace ed uno studente a tutto tondo. “Sono vent’anni che pratico questo sport e conosco bene i tempi di ogni cosa. Campionato vuol dire ritiri, grandi spostamenti, momenti lontano da casa. In ogni frangente c’erano dei fedeli compagni a farmi compagnia, i miei libri.”
The captain – Un altro anno in Eccellenza, nella Cavese, o “Città de La Cava” per gli appassionati di almanacchi. Il progetto è sempre ambizioso, e De Rosa vince un altro campionato. Nell’estate 2012, poi, la chiamata giusta: il Pomi di Raffaele Pipola. Passano allenatori (prima della stabilità di Seno), compagni, anche tifosi più o meno appassionati, ma lui no. Dopo una stagione e mezzo nel cuore del centrocampo granata, De Rosa riceve le chiavi di capitano. “Mai, nella mia carriera, avevo portato prima la fascia. E’ una bella soddisfazione personale, ma una grande responsabilità. Rappresenti la tua squadra e quindi i tuoi compagni.”
2014 da incorniciare – In aprile arriva la coppa Italia di D, pochi mesi dopo la laurea specialistica. Due belle vittorie, due grandi obiettivi perseguiti dal dottor/capitan De Rosa. “A Pomigliano il clima, per quanto nello spogliatoio ci fosse grande coesione, non era dei migliori. Dopo 5 KO consecutivi nelle prime giornate, c’era molto scetticismo ad arieggiarci intorno. I tifosi veri li porto nel cuore, ma non capisco chi si lamenta quando le cose vanno malino e non muove ciglio quando vanno bene. Forse non è un atteggiamento così produttivo.” La coppa, però, mise tutti d’accordo: “Giocammo otto gare prima di poterla alzare, l’emozione è ancora alle stelle se ci ripenso. Nel frattempo, però, in campionato non riuscimmo ad ipotecare una salvezza più che meritata. E’ vero, solo all’ultimo è arrivata l’aritmetica, ma siamo sempre stati sopra la zona playout e, di più, portare a casa la coppa per una squadra sì ben allestita, ma comunque non da vertice come la nostra, significava sacrificare qualcosa. Quel qualcosa quest’anno non sarà sacrificato, essendo già usciti.” E se i punti in campionato si possono sacrificare, gli esami all’università, no. A settembre De Rosa festeggia la fine del suo corso di studi specialistico in Scienze e management dello Sport. “Un’altra bella vittoria che in un periodo di crisi economica come questo può servire a cercare un futuro migliore e, più personalmente, ad ampliare il mio raggio di conoscenze.”
Calcio, banchi e futuro – Sono stati questi i maestri di vita di De Rosa. “Ho cercato di prendere il meglio da tutti i miei insegnanti, mister o professori che siano. In panchina ho sempre avuto la fortuna di avere gente in gamba. Farina e D’Agostino mi hanno insegnato ad essere calciatore, Pietropinto è stato un grande amico, Gargiulo un padre. Boccolini era un vincente e trasmetteva anche a noi la sua filosofia ed Ingenito e Seno, con le loro ambizioni, non fanno mai mancare il fattore ‘fame’. Il mio futuro? Non voglio fare l’allenatore o il direttore sportivo, anche se mai dire mai. Mi piacerebbe sfruttare le mie conoscenze e magari entrare nel settore dell’organizzazione degli eventi. Non metto freni al domani e cerco…” di lasciare quante più porte aperte possibile. “Sul futuro del Pomigliano posso dire che l’obiettivo, anche in ottica-stadio, era all’inizio una tranquilla salvezza lanciando molti giovani del vivaio. Il patron Pipola, però, non ha ancora una volta trovato il manforte degli organi comunali e quindi non ha più potuto investire nelle strutture, che rappresentano ad oggi il tallone d’Achille della società. A dicembre si faranno, anche in virtù delle classifiche, i primi bilanci ed eventuali ritocchi alla rosa. Ora viviamo partita dopo partita.” Buon compleanno, capitan/dottore e che l’ennesimo cliché sia abbattuto! 
Mirko Panico per campaniagol.it
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