Azzurro, il lunedì mattina è troppo azzurro e lungo per i tifosi del Napoli. Lunedì primaverile e lunedì speciale. Potrebbe bastare «na jurnata ’e sole» per poter cantare, ma se ci mettete i due gol rifilati alla capolista, alla Juve che scatena sempre acerrime rivalità e sfottò anche grevi, se ci mettete Callejon e Martens si scatena tutto il folclore dei vicoli e di Toledo e contagia persino i tifosi più compìti. Ieri, passeggiando per le strade di Napoli era tutto un cicaleccio da stadio: dai mozziconi di frasi di chi se la rideva al cellulare o seduto ai tavolini del bar con i quotidiani aperti sulle pagine sportive. Era tutto un rap alla Rocco Hunt, davvero «nu juorno buono». Le vrenzoline si consolavano: «Callejon è pure fico, bello proprio». «Ma hai visto Marek?» «Alla grande». «E Insigne? Pareva Speedy Gonzales». «Ci voleva l’ora legale per ristabilire il campionato legale»: è il solito inguaribile complottista che non nomina mai la Juve con il suo nome, ma va avanti con «gobbi» o, a preferenza, «rubentini». Le voci di dentro diventano una sola: lazzara e in giacca e cravatta. Insomma un ciuciuliare interminabile, cominciato con tutta la fantasia dei tifosi già domenica sera, sui social network al primo gol azzurro. E chi li ha più fermati. L’acme dell’indignazione s’è scatenato quando sul video di casa sono passate le immagini del tecnico bianconero, Antonio Conte, che, mentre rientrava in campo per il secondo tempo, si faceva il segno della croce davanti alle icone napoletane della Madonna di Pompei, di san Gennaro e il resto del Paradiso. I peggio sberleffi sono rimbalzati da Facebook a Twitter. «Lascia stare i santi nostri» è tra i pochi riferibili. Comunque, affidarsi al Pantheon vesuviano gli è servito a poco.
Notte in bianco per tanti, comunque. Non è uno scudetto, è vero. Ma per la maggioranza dei tifosi battere la Juve non è solo un premio di consolazione: è il fin del poeta, è la meraviglia e chi non sa stupir vada alla striglia. Non ha dormito neanche Paolo Merenda che s’è inventato il gadget che ha spopolato per la mattinata intera: un magnete composto da due babà su una mini-guantiera di carta gialla con un cartellino eloquente e sintetico: «E scusate se sono pochi: 2-0» incorniciata da un cuore da innamorato. Parla con la voce rauca: «Sono stato allo stadio e mi sono sgolato. Ma là mi è scattata l’idea. Sono tornato a casa e ci ho lavorato dall’una alle sei e mezza». Appostato fuori alla Galleria Umberto, proprio dove le sfogliatelle e i babà li vendono sul serio, ha svuotato tutto il canestro in poche ore. Due euro (uno a babà) e vi passava la voglia.
Il palcoscenico privilegiato per l’esultanza pallonara resta sempre Toledo con le sue bancarelle per turisti piene di sciarpe, cappellini, magliette che fanno da vera calamita. I giannizzeri del merchandising sgriffato non difettano della proverbiale creatività popolare. L’angolo di vico Giardinetto, che si addentra nei Quartieri Spagnoli, è uno degli epicentri. In questo lunedì speciale si suonano a palla le canzoni e gli inni delle curve, inframmezzati da radiocronache esaltate delle vittorie del Napoli. Della serie: si gonfia la rete, si gonfia la rete. Chi passa si ferma a guardare e a fotografare i collage e i fumetti che fanno da specchione per le allodole. Non manca nessuno: da Totò a De Laurentiis, da Maradona e Benitez (che spagnolo è davvero e all’imbocco dei Quartieri ci sta da re), da Callejon a Hamsik. Persino Paolo Sorrentino. In fondo c’è una bellezza più grande che infilare due palloni alla Juve? Per un tifoso verace non c’è. Arriva un gruppo di francesi ed è attratto dalla foto del poco compianto Matador, bollato senza pietà con la scritta «’O Traditore». «Ma non è traditore» fa Gustave, parigino e sostenitore del Saint-Germain. È divertito, non indignato, ma vuole precisare: «Cavanì è un professionista. Cambiare équipe è la legge del calcio. Peccato da noi che è offuscato da Ibrà». Di suo, lo spaccio di azzurritudine di vico Giardinetto, ieri mattina, s’è limitato a produrre un «combo» che affianca san Gennaro a Rafa Benitez. «Entrambi fanno sciogliere il sangue» confidano i negozianti, riciclando la battuta storicamente dedicata a Diego.
Ha esultato pure Pino Fioretto, il direttore della Feltrinelli al Ponte di Tappia, ma solo davanti alla tv. «Mio figlio Bruno era allo stadio, io l’ho vista a casa» racconta. E i clienti in libreria? «Ne parlavano certo, i più sono dispiaciuti per i punti buttati via con le altre squadre in partite che non si possono perdere o pareggiare». Attorno al banchetto ad angolo con via Concezione a Montecalvario, s’è fatto un capannello. Non sono solo clienti che vogliono mettere in testa un cappellino del Napoli. È in corso un talk show. «Di juventini stamattina non se ne vedono in giro» se la ride Salvatore Zaccaro, infermiere del Loreto Crispi in pensione. «Sono scomparsi. C’è solo quello là, lo vedete?». Indica un tizio che prova a svignarsela sullo stretto marciapiede accanto alla chiesa. «Vieni qua, nun te mettere scuorno» lo incalza il proprietario del banco, Ciro Cardone. «Ve l’abbiamo regalata la vittoria» replica lo juventino scovato. Si chiama Luigi ed è il garzone stagionato del fioraio. La sua battuta è lapidaria e non vuole aggiunge altro. Non è giornata. «Che ci volete fare? Non sanno perdere» insiste Zaccaro. «Al San Paolo la Juve sembrava la Cavese al confronto del Napoli. E sapete che vi dico? Pure se avessimo perso, dico per dire, eh, pure se avessero vinto loro, per come abbiamo giocato, alla grande, sarei stato contento lo stesso. Era uno squadrone».
Ciro il bancarellaro scova nel mucchio la sciarpa di Callejon. «È stato grande e mi ha fatto anche guadagnare dei soldi». Tira fuori dalla tasca una bolletta delle scommesse. «Vedete, ho giocato due euro e ne ho vinto 208, grazie a lui. Ho puntato sulla vittoria con un netto due a zero e il primo gol di Callejon. Domenica ero allo stadio, ma non ho pensato alla vincita, perché mi gioco sempre Higuain marcatore. E così credevo di aver fatto pure stavolta. Invece no, quando ho guardato la bolletta non ci ho visto più per la doppia contentezza». Tra un manichino e l’altro qualche commerciante ha esposto dei cartellini che ripropongono un evergreen: «Chi non salta è bianconero». La vetrina di «Napolimania» è bersagliata dagli scatti degli smartphone per le sacchette di monnezza juventina e le altre battute contro la squadra piemontese. In queste occasioni tutto il repertorio viene buono, ogni nota deve essere suonata. Compresi i manifesti funebri che ormai, per l’occasione, si preparano prima. Freschi di stampa, la sera stessa. Le punte degli iceberg dell’esultanza sono, ovviamente, nei quartieri popolari. A via Pietro Colletta, poco lontano da Forcella, è un tripudio di sciarpe azzurre esposte e sventolanti più delle bandiere. Come pure a via Foria. «Il grosso l’abbiamo venduto a ridosso della partita» ammettono.
Adesso, per, la gioia è coperta da un’ombra di rammarico. Ne è portavoce Nicola Nasti, il barista che del tifo ne ha fatto una ragione di vita. Il suo locale a via Salvator Rosa è tutto dipinto di azzurro e tappezzato di foto in bianco e nero del primo scudetto. I santi si mescolano agli eroi del pallone. Sulle mattonelle della toilette ha fatto stampare gli stemmi delle altre squadre e quello della Juve ha una posizione privilegiata. «Quanti punti preziosi abbiamo perso, mannaggia» commenta tra un caffè e l’altro. «Siamo tutti soddisfatti, ci mancherebbe. Però potremmo essere ancora più su in classifica, a contendercelo davvero lo scudetto. Perché questa Juve non è imbattibile. L’abbiamo dimostrato sul campo. È solo un contentino». E in questi casi chi si accontenta non gode, almeno non a pieno.
Fonte: Il Mattino.
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