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Bruno Giordano: “Cavani è un centravanti moderno e che si sacrifica per i compagni”

L'ex bomber del Napoli: "Il Matador crescerà nei prossimi anni"

La nostalgia è un’amica talvolta carissima, con la quale abbandonarsi: e Milan-Napoli, nel suo piccolo, è la calamita per trascinarla fuori dal guscio della malinconia. Il calcio, un quarto di secolo fa, era una sensazione Ma. Gi. Ca. con la quale convivere dolcemente: e ora, al netto della tristezza per il tempo scappato via, ciò che resta è l’emozione di poterle rivivere. Milan-Napoli, Ibra-Cavani: la partita doppia va giocata di fino, colpi di tacco e piedini carezzevoli come quelli di Bruno Giordano, l’ultimo dei mohicani nella san Siro rossonera.
Giordano, è una partita a prova di bomber.
«Forse, il meglio che possa proporre allo stato attuale il campionato italiano. Attaccanti che garantiscono la felicità ai propri allenatori e – chiaramente – alle rispettive tifoserie».

Visti da un fuoriclasse qual è stato Giordano…
«Meritano discorsi separati, perché sono completamente diversi, imparagonabili e dunque compatibili. Non oso pensare cosa farebbero assieme, quei due lì. Però sarebbe un gran bel vedere».

Lei con chi sta?
«Con entrambi, perché si fatica a scegliere. Chi ama il calcio, in dualismi del genere, non può schierarsi. Si potrebbero avere, in teoria, preferenza: ma i gusti sono gusti e Cavani e Ibra li assecondano proprio tutti».

Partiamo con il matador.
«Come si dice in questi casi, l’attaccante moderno. Non ti dà punti di riferimento, viene indietro a a sostenere la fase passiva; raddoppi,a marca, riparte. A campo aperto, fa male. Cerca la profondità, ha una corsa elegante, raggiunge qualsiasi pallone. E pure di testa ci sa fare». 
Difetti?
«Mah! Li trovi lei, se ci riesce».

E lo svedese invece richiederà un trattato…..?
«Personalità spiccata, come pochi nell’universo calcistico attuale. Troppo semplice rifugiarsi nella sua potenza fisica, in quella statua di marmo che non sposti. Chiede il pallone, lo tiene, lo copre, lo smista, lo capitalizza. Un mostro. Non a caso vince lo scudetto sempre».

Gli trovi una caratteristica in comune.
«Dal punto di vista tattico e strutturale è complicato. Però vedono e sentono la porta e forse questo potrebbe già bastare in questa sorta di identikit».

Cosa la stupisce di Cavani?
«Quel dinamismo che dura novanta minuti, l’atteggiamento da scheggia impazzita. Non sai mai dove lui possa essere e non sospetti mai che possa afferrare palloni perduti. Mi piace la disponibilità al sacrificio, un segno di altruismo che non sempre è negli attaccanti». 
E di Ibrahimovic ci si può ancora stupire?
«Infatti, riesce complicato. Ha dato e ancora dà. Chi gioca con lui sa bene che le partite non sono mai compromesse, perché c’è una fase della gara, che ti sembra morta e probabilmente sepolta nella quale emerge la caperbietà del leader, di un uomo che non vuole perdere mai».

Tra l’uno e l’altro, chi incide maggiormente?
«Nel calcio, valgono le statistiche. E se andate a vedere la classifica cannonieri, poi date un’occhiata alle reti fatte dai rispettivi club di appartenenza del tandem in questione, vi accorgerete che siamo alla pari. E comunque sia Ibra che Cavani rappresentano le garanzie di Milan e Napoli».

Che partita sarà, a prescindere?
«Fatico ad immaginare che possa essere un match a prescindere. Da allenatore, continuo a pensare che l’organizzazione sia preponderante; però devo anche ammettere che avere in organico attaccanti del genere, con potenzialità tanto impressionanti, finisca per condizionare». 
La partita la farà – o dovrebbe farla – il Milan.
«E’ una verità parziale, però: all’andata, sull’uno a zero per i rossoneri, il pallino passò tra i piedi del Napoli. E finì tre a uno con tripletta di Cavani».

Il Napoli ha numeri difensivi non esaltanti, attualmente.
«Ma ha la capacità di rimettersi in sesto. Nel corso di una stagione, capitano momenti meno favorevoli. E ci sta, nel lungo periodo, che avendo la distrazione della Champions, qualcosa si perda per strada. Ma in partite in cui l’adrenalina viene fuori da sé, la solidità dell’organizzazione riemerge».

Scusi la provocazione, tornando a quei due: lei con chi avrebbe preferito giocare?
«Direi che ci saremmo saputi adattare e che forse sarei stato bene sia con Cavani che con Ibra. Però, mi sono dovuto accontentare di essere compagno di reparto di Maradona, Careca e Carnevale….».

L’assist è stato capzioso.
«Sono appena rientrato da Abu Dabi, sono stato con mia moglie per dieci giorni ospite di Maradona. L’ho trovato in gran forma, fare l’allenatore gli piace e poi il calcio da quelle parti è più evoluto di quello che sembra. Abbiamo vinto 2-1…». 

Scusi?
«E sì, abbiamo vinto, perché io ero là a tifare per Diego, per la sua squadra. Tra di noi c’è un’amicizia sentitissima, un affetto reale. Sono stato felice di ritrovarlo e lui, come sempre mi ha manifestato il suo calore, i suoi sentimenti».

E guardi un po’ lei rientra proprio alla vigilia di Milan-Napoli….
«Ventisei anni fa, vincemmo a san Siro con il gol mio e quello di Diego. Sono in grado di raccontarglieli nel dettaglio: sul mio, un tocco lieve, finì in rete pure Paolo Maldini. E per chiudere la partita, poi, servì una magia del vero fenomeno del calcio: punizione dal limite, secondo voi Maradona dove poteva mettere quel pallone?». 

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