Tenera la notte: e in quel lampo accecante di felicità estrema, mentre intorno c’è il clima di festa, val la pena lanciare l’amo e ritrovarsi sulla spiaggia di Formia, alla ricerca della serenità perduta, in quei momenti di tristezza affogati nella pesca, lo spartiacque di un umore contrastante. «Rete» e chissà quante volte Miguel Angel Britos l’ha urlato al vento, ripensando a quei cinque mesi d’inferno, cominciati in un santuario del calcio, al Camp Nou, e poi consumati a pregare, a sperare, a lanciare sguardi nell’orizzonte vuoto. «E’ stata una rete studiata in allenamento, schema riprovato più volte. Ma devo ringraziare Lavezzi che mi ha sistemato il pallone in testa. Sono contento, è chiaro che lo sono: ne ho passate tante».
LA PRIMA VOLTA – Manco il tempo di cominciare, di infilarsi nel Napoli sognato, ed è già finita: è il 22 agosto e Barcellona, il luna park del football mondiale, diventa una prigione, anzi peggio, una sala operatoria, con le luci fioche che illuminano la disperazione e la diagnosi che alimenta il pessimismo: «Infrazione al quinto metatarso del piede destro». E’ una randellata all’euforia dell’estate, è una sentenza che rimanda all’inverno inoltrato, perché serve tempo, e quanto, e poi occorre pazienza e sacrificio. Barcellona è dunque la clinica Dexeus, non più il giardino più verde di quell’universo calcistico da osservare senza starsene dietro al buco della serratura: e, a quel punto, stranezze della vita, nasce pure il mistero buffo, perché Britos rimane inghiottito dal silenzio e dalla rieducazione, dalla rabbia e dall’impotenza che, minuto quindicesimo di Napoli-Chievo, possono finalmente svanire.
IL COLPACCIO – Le storie son contorte, a volte, ed altre invece sono semplicemente paradossali o anche banali o persino naturali, perché nel preventivo va inserito il rischio: ma succede tutto così in fretta, e anche rocambolescamente, complice il destino cinico e baro, che l’affare difensivo del mercato finisce per divenire materia di discussione e quegli otto milioni investiti per avere uno dei centrali difensivi graditi a Mazzarri quasi si trasformano, e chissà perché, in carta straccia, in un’improvvida scelta. Colpa del fato, però intanto, nell’io più profondo d’un giovanottone disarmato, l’amarezza diviene la padrona di giornate consegnate al surf-casting, alla canna da pesca, ad una fantasia da coltivare e ad una rivincita da realizzare: verrà il giorno in cui….13 febbraio 2012, la palla è lì nel cielo e si va incontro ad essa. «Abbiamo dimostrato di esserci ancora, ora pensiamo alla Fiorentina, poi verrà il Chelsea».
La scelta – Perché la dea bendata a un certo punto doveva pur ricordarsi di Miguel Angel Britos, ventisei anni e mezzo, un fisico da corazziere come la compagnia che l’ha accolto, e un conto aperto con la sorte: 15’ di Napoli-Chievo, si va all’incasso, passando nella ressa dell’area di rigore avversaria, andando a capitalizzare i blocchi di centrocampisti amici, e mollando una capocciata al pallone che sembra un gancio alla maledizione, prima di esultare da pescatore con Cavani: « Ne avevo parlato con Edy, se avesse segnato uno di noi avrebbe festeggiato in quel modo. Ringrazio i tifosi che mi hanno sostenuto anche negli errori. Sto cominciando ora a giocare e sto capendo i movimenti. Sto riconquistando me stesso, sto tornando». Si riparte: brrr, Britos, questa è vita!
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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