L’ultimo velo è ormai caduto da un bel po’ e quel mistero buffo della pretattica è un’abitudine lasciata scivolare nell’armadietto dei ricordi: si gioca e i titolarissimi diventano – ufficialmente – dodici, una famiglia allargatasi nel corso di un altro anno da cerchiare in azzurro per poterlo infine intrufolare nella storia. Squadra che vince non si ritocca: ma s’è intrufolato il giudice sportivo, poi il medico ha redatto il bollettino e allora una rinfrescata in difesa diviene inevitabile, pardon indispensabile.
DURA L’EX – Il bunker ritrovato è in quel mini-esercito di corazzieri che nelle ultime quattro giornate è riuscito a viverne tre da buttafuori, un «tridente» rovesciato al quale Novara, Lecce e Palermo non hanno lasciato neppure un graffio nelle statistiche, «rovinate» eslcusivamente dalla premiata ditta Marquinho-Simplicio. Il passato che ritorna, dunque, è nelle sane abitudini di una retroguardia che nell’era Mazzarri s’è sempre caratterizzata per rendimento e che soltanto nel post-Chelsea ha finito per risentire di un rilassamento collettivo, d’un contraccolpo psicologico che a un certo punto ha spalancato le porte d’una crisetta, presa poi a spallate da De Sanctis & compnay con la naturalezza consolidata in un biennio e mezzo. Fernandez s’è dovuto arrendere sin da martedì sera all’evidenza del «giallo», il quarto; e Campagnaro, che ci ha creduto sino alla rifinitura, ha intuito che rischiare è un controsenso: l’organico consente di spaziare, di dileguarsi in qualche divagazione o anche semplicemente di lasciare scivolare Cannavaro a destra, Aronica in mezzo e ribadire Britos sul centro-sinistra, in una domenica che sa di revival per l’ex bolognese restituito al ruolo di titolare proprio in quello stadio ch’è stato suo per tre stagioni e settantuno partite di campionato.
GLI INTOCCABILI – Come s’usa ai giorni nostri, con le formazioni che hanno smesso ormai da un bel po’ di essere strofette da canticchiare dall’uno all’undici, il centrocampo da destra a sinistra è invariabile o anche intoccabile: perché Maggio resta a destra e Zuniga fa l’omologo a sinistra e la possibilità di poter contare su Dzemaili, che ha scontato il suo turno di squalifica, non schioda Gargano e Inler dal loro ruolo naturale di leader della mediana, un regista e un interditore, un pensatore e un maratoneta che ruba palloni e poi riparte come un indemoniato. Ma le partite durano novanta minuti e Dzemaili e Dossena rappresentano le prime candidature per un eventuale turn-over in corsa.
IL QUARTO TENORE – L’ultimo Pandev, quello riemerso dalla brume d’un fallaccio con l’Atalanta e dalla malinconia per i due turni di stop, è il talento indiscutibile che al San Paolo s’è intravisto a corrente alternata nella fase centrale della stagione e che ora sta dando continuità a se stesso: il quarto tenore offensivo d’un Napoli che va all’assalto della Champions diviene anche a Bologna il terzo, lascia che Lavezzi recuperi la propria condizione senza aver fretta, consente a Mazzarri di appoggiarsi sui freschi equilibri del 3-4-2-1, il modulo che maggiormente va a genio a lui e ai suoi interpreti. Pandev e Hamsik tra le linee, per dar sostegno a Cavani e per assicurarsi un rispetto più rigoroso delle distanze: ma il Pocho è là, che si sta scaldando. I tenori sono da un bel po’ passati a quattro.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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