Se esistesse la notte degli oscar per la “mala suerte” , lui finirebbe di certo sul podio dei premiati. Senza ombra di dubbio. Solo scampoli di azzurro per niente gustati nello spazio di un anno, otto mesi e ventidue giorni di Napoli. Quello che di certo non si sarebbe mai aspettato, entusiasta com’era della nuova esaltante avventura in un gruppo che avrebbe poi affrontato la Champions a spada tratta. In perfetto allineamento cioè col carattere del colosso di Montevideo. Sì, perché Miguel Angel Britos Cabrera per costituzione, per esplicita caratteristica di un DNA sincero e pugnace, è un combattente nato e per giunta non sa cosa significhi mollare. Almeno in teoria però. Visto che poi la realtà ha sbugiardato nei modi più subdoli e impensabili quelli che erano gli intendimenti dell’arcigno mancino voluto a tutti i costi da Mazzarri.
LA FEDE – Una carriera in azzurro a conti fatti carica di rabbia, diciamocelo con franchezza. Rabbia che ti sgorga direttamente dal cuore. E chissà quante volte è stato costretto a contenersi, rabbia smozzicata fra lingua e denti. Durante quei lunghi periodi di assenze forzate, quelle interminabili pause a cui è stato costretto, tenendosi aggrappato ad un unico fattore. La fede. Prerogativa che di certo non gli difetta, poiché in caso contrario risalire la china estremamente ripida di ben tre infortuni (fra il serio e molto serio) sarebbe stata un’impresa titanica. «Tu pensa alla piccola Emilia, a me andrà tutto a posto in pochi giorni» , così alla moglie Virginia prima di subire l’ultimo intervento, quello alla mandibola. Ad un anno e mezzo da quello ancor più delicato al quinto metatarso del piede destro. Cadeau del trofeo Gamper , in Barcellona-Napoli, nemmeno il tempo di “incignare” la maglia azzurra. E poi, mentre gli altri si allenavano per la Champions, le lunghe giornate passate a rimuginare. Dense di cattivi pensieri e timori inconfessati. Ma anche piene di fede.
DETERMINAZIONE – Lavoro, duro lavoro per ritrovare se stesso e poi il campo finalmente: in Coppa Italia per Napoli-Cesena (12 gennaio 2012). Ma in questi casi non basta lo schiocco delle dita per ritrovarsi, ed ecco che il Britos dei tanti spezzoni di campionato, riesce almeno a disputare un minutino nella fantastica notte dell’Olimpico romano. E poi il nuovo inizio, stavolta con il piede giusto (e a posto) ma dietro l’angolo è in subdola attesa la seconda tranche di mala suerte. Prima di Napoli-Parma (nello scorso settembre) e dopo le prime due da titolare, è stavolta il quadricipite della gamba sinistra a metterlo fuori gioco per ben otto match di campionato e tre di Euroleague. Di nuovo a fare i conti con una scalogna implacabile, ma ancor più determinato di prima ad esorcizzarla, una volta e per tutte.
NON C’E’ DUE... – Il rientro col Dnipro e poi gradatamente, guadagnando in sicurezza e consensi, il posto da titolare. Sino al terzo inopinato stop per frattura composta alla mandibola durante l’ultimo Napoli-Juve, a seguito del duro scontro con Inler (la riduzione della stessa alla Ruesch, ad opera del prof. Giampaolo Tartaro). Una nuova bordata che avrebbe messo spalle a terra chiunque. Ma lui no. Ormai ha imparato a sue spese come si fa a prendere il toro per le corna. E se (come sembra) tutto è tornato a posto (a partire dalla condizione) ci proverà già dal prossimo sabato santo. Quello del toro, appunto.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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