Il primo atto del mondiale carioca è andato in scena, tra i soliti volti noti e le sceneggiature impreviste, tra chi si esalta per la vittoria e chi si deprime per una sconfitta umiliante, c’è chi ha sulle spalle una nazione intera, come Messi e Neymar, trascinatori ma pomi della discordia istante dopo istante, scanditi dai cronometri dei direttori di gara che per la prima volta avranno un “aiuto dall’alto”, anzi, diciamo 24 aiuti, chiedere alla Francia di Blanc. Poi i tedeschi, gli (in)soliti italiani e la macchina da guerra olandese che si erge a vera favorita dopo la “manita”, anzi, la “mannitol” detta in lingua orange, agli spagnoli. E poi tutto il nuovo mondo fatto di Belgio, Colombia e Cile che avanza con orgoglio e incoscienza cercando di ritagliarsi un posto tra i titani dei mondiali. Brasile 2014 è questo ma molto altro ancora per quello che passerà agli atti come il primo vero mondiale “social” della storia.
“UNDER PRESSURE”, la saudade del XX secolo
E’ il loro mondiale, diciamoci la verità, tutti li aspettano in fila a Rio il 13 luglio per ritirare la coppa del mondo, quasi come le 7 partite che li dividono dalla vetta fossero solo venialità, per vendicare finalmente quel Maracanaço del ’50 mai digerito del tutto dalla gente carioca. Poi c’è il calcio, quello vero, fatto di uomini e non di parole e di una Croazia che gela l’Arena Corinthias nei primi minuti facendo emergere incubi di un passato parzialmente eliminati da Neymar, l’Atlante del Nuovo mondo, e dal fischietto generoso di Nishimura. E’ comunque il Brasile più europeo della storia, della squadra spumeggiante, del quadrato magico, della Diagonal di Flavio Costa, delle ali alla Garrincha, o degli attaccanti alla Ronaldo e Pelè oggi non c’è più traccia, la selecao di Scolari si affida ad una solida difesa e a due mediani di copertura e alla fantasia di Oscar e Neymar, forse gli unici due veri fuoriclasse del nuovo corso carioca, il gioco non decolla ancora, restano i 3 punti, che non sono però arrivati contro il Messico.
“L’OLANDESE VOLANTE”
Forti lo son sempre stati, spettacolari pure, ma così concreti e pragmatici il mondo probabilmente non li ha mai visti e forse deve abituarsi in fretta alla nuova Olanda, il vero sisma del primo giro dei mondiali. 5 goal alla Spagna senza colpo ferire, dopo un quarto d’ora di affanno generato da un rigore benevolo del “nostro” Rizzoli, ma poi ci pensano i fuoriclasse, Van Persie, con un goal da antologia, e Robben in formato pallone d’oro a demolire con i loro colpi ciò che resta dell’Armada Invencible spagnola, con un condottiero d’eccezione, quel Luìs Van Gaal tanto bistrattato all’inizio e osannato dopo, che ha stravolto una nazione passando dallo storico 4-3-3 ad un 5-3-2 inedito nei Paesi Bassi, quando la tattica vince sulla tecnica.
“THE ITALIAN JOB”
E chi l’avrebbe mai detto che una delle nazionali più discusse firmasse uno dei suoi migliori esordi al mondiale, contro quegli inglesi che aspettano da una vita un momento che sembra non arrivare mai. La “nuova” Italia di Balotelli e Prandelli, la next generation dopo la caduta del “muro di Berlino”, quella difesa rocciosa che sempre aveva contraddistinto la compagine azzurra oggi ridisegnata da un 4-5-1 per colmare il vuoto lasciato dai Cannavaro, Nesta, Zambrotta, poggiandosi sulle solide spalle di uno dei reduci di quel “muro” del 2006, Andrea Barzagli, aspettando Buffon, e meravigliandosi ogni volta su un artista contemporaneo col 21 sulle spalle, Andrea Pirlo, leader silenzioso di una nazionale che ora ha tante speranze, colorate anche da una piccola sfumatura di Zemanlandia che tutti aspettano con ardente pazienza, chissà, magari già con la Costarica.
“PROFONDO ROSSO”, la disfatta Iberica
L’Armada Invencible e il Portogallo di Ronaldo, i maestri del calcio contemporaneo e l’interprete più elevato, sconfitti e umiliati senza colpo ferire. Delle “furie rosse” è rimasto solo il colore dopo il carrarmato orange, il tiki taka sembra ormai superato e nemmeno la scossa Diego Costa sembra rianimare le speranze di Del Bosque, ma non ferire ciò che non puoi uccidere e l’orgoglio ferito dei calciatori spagnoli non può esser dato per vinto così facilmente.
Disfatta anche per Cristiano Ronaldo, tradito dal Portogallo che lo ha lasciato solo sull’isola a difendere l’onore di una nazione, impotente contro gli attacchi della corazzata tedesca che ha passeggiato sui resti della formazione lusitana trovando nel fischietto di Mazic un valido alleato.
“ULTIMO TANGO A… PARIGI”
Messi al Maracanà, per certi versi era già scritto ma per il resto, nulla o quasi. Un unico spunto della Pulga in una partita apatica. Solo il Brasile sopra l’Albiceleste e una finale che tutti vogliono tra le due regine del Sud America. Il solito attacco straordinario e difesa che si affida all’esperienza di Mascherano e a un po’ di improvvisazione, un film già visto che solo il mancino di Lio può riscrivere.
Allez les blue! E 3 a 0 per il primo atto dei galletti guidati da Benzema, pesante l’assenza di Ribery colmata dall’inesperienza Honduregna che regala il vantaggio francese in una partita che passerà alla storia più per il primo goal “virtuale” assegnato dalla tecnologia che per il gioco transalpino, che pecca nell’assenza di creatività negli ultimi 30 metri. Rimandate ai secondi 90 minuti.
“ADDIO AFRICA”, la crisi calcistica del continente nero
Il calcio del futuro e delle belle speranze rimaste tali, deludono tutte le formazioni africane, in crisi di identità, di gioco e anche di uomini, crollano Ghana e Camerun, pareggia la Nigeria, illude l’Algeria, c’è un vuoto generazionale colmato parzialmente dalla Costa D’Avorio, unica oasi di un deserto calcistico, trascinata da Yaya Tourè e Gervinho e dal solito Drogba, un attacco stellare, con l’entusiasmo e la maturità giusta per essere la mina vagante del torneo.
“STURM UND DRANG”, quei soliti tedeschi
Non sono più una sorpresa ormai, almeno fino alle semifinali loro ci sono sempre e come diceva Gary Lineker: “Il calcio è uno sport semplice: si gioca in undici contro undici e alla fine vincono i tedeschi.” L’identità è quella del Bayern, Lahm davanti alla difesa come imposto dal dictat di Guardiola, solidità tra i reparti, compattezza tra le linee e attacco geniale con Kroos e Goetze ad inventare e Mueller da inedito centravanti che ripaga Joachim Löw con tre goal e tanta sostanza e c’è sempre un Klose di scorta all’inseguimento di Ronaldo per il record di segnature mondiali (15), siamo a -1 ma con questa Germania, guidata anche dalla Merkel in tribuna, è facile puntare le proprie fiches. Solidi come sempre, creativi come poche volte in attacco, con il rammarico per l’infortunio di Marco Reus ai nastri di partenza.
“IL MALEDETTO… COSTARICA”, Maracanaço 2.0, un sogno infranto?
Incubo più di nome che di fatto per il popolo carioca, l’Uruguay di Tabàrez, si affacciava con tante aspettative a Fortaleza, dove ad aspettarla trovava la vittima sacrificale designata, la Costarica di Pinto. Ma il calcio è strano e da carnefici si diventa vittime in pochi minuti, Cavani illude, prima Campbell, eroe di una sera (e non solo visto che l’Arsenal è pronto a puntare su di lui nella prossima stagione), poi Ureña e Duarte per una notte da leoni, anzi da Los Ticos, i nativi costaricani che affondano la flotta uruguagia, priva di gioco e di idee che si poggia sulle spalle di Cavani, non forti abbastanza, dopo le armi deposte da Forlan che non incide come una volta, il cielo della Celeste sembra tornare grigio in attesa della scintilla Suarez unica speranza per riaccendere l’animo uruguaiano.
“NON E’ UN PAESE PER VECCHI…” Colombia, Cile e Belgio, il nuovo mondo che avanza
Se i passati mondiali erano all’insegna delle sorprese che giungevano dall’Africa registrando le delusioni sudamericane, il mondiale carioca ribalta la situazione, anche con la nuova Europa che avanza, una generazione di talenti da non sottovalutare.
La Colombia polverizza i greci, vincendo 3-0. Nonostante l’assenza di mister 60 milioni, Radamel Falcao, presenta uno degli attacchi più forti del mondiale, con Teo Gutierrez, Ibarbo, Jackson Martinez e Bacca, assistiti dall’imprevedibilità di Cuadrado e dal sinistro di James Rodriguez. E’ Armero ad aprire letteralmente le danze di una squadra che (si) diverte e che arriva in Brasile con tante speranze, difesa da registrare ma un peccato veniale per chi mancava dal 1998 e rientra dalla porta principale facendo tanto rumore.
Il Cile liquida 3 a 1 gli oceanici australiani, il sorteggio infelice la mette nel girone dantesco con Spagna e Olanda ma la disfatta degli uomini di Del Bosque apre scenari imprevedibili per la Roja di Sampaoli e di Sanchez, leader indiscusso e trascinatore dell’El Equipo de Todos, in attesa di Edu Vargas, (l’ex) turbo man, su cui sono ancora vive le speranze del popolo cileno.
Il Belgio era la formazione più attesa, una pressione a tratti ingestibile che fa cominciare il mondiale dei “Red Devils” con 45’ di ritardo, con l’algerino Feghouli che gelava il popolo fiammingo denso di speranza, poi l’ingresso di Mertens e Fellaini, le gambe che cominciano a girare, la tecnica c’è e tanta, risultato ribaltato e finale in crescendo, occhio ai ragazzi di Marc Wilmots perché possono battere chiunque e forse anche perdere con chiunque, ma è il bello della next generation, in 90’ sei sull’Olimpo e nell’istante dopo rischi di vedere il baratro, ma hanno il talento per mettere in difficoltà tutti, con la speranza di essere la Croazia del ’98 o il Ghana del 2010.
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