Alle 19.40 del 9 agosto 2018, Leonardo Bonucci è al telefono con un amico, che gli chiede come sono i rapporti con i compagni: «E lui risponde — riassumono gli agenti della Digos di Torino — che gli italiani, nello specifico Barzagli, Marchisio, Bernardeschi, sono molto freddi con lui». Dopo l’annata al Milan, insomma, quello alla Juve non fu subito un ritorno da casa dolce casa. Soprattutto per l’accoglienza della curva Sud dello Stadium, territorio ultrà, dove il difensore era sempre stato un idolo. E poi «traditore». Gli investigatori — in quell’estate già alle prese con l’indagine «Last Banner», sui ricatti ultrà alla Juve, per i biglietti — temono indebite pressioni sul giocatore, o peggio, e così il 4 agosto 2018 decidono di mettere sotto controllo i cinque numeri di cellulare a lui intestati. Di venti giorni di intercettazioni, agli atti dell’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Chiara Maina, resteranno sei telefonate: penalmente irrilevanti, ma che rendono l’idea dell’aria che tirava, oltre a ricostruire l’inizio della seconda vita di Bonucci, in bianconero.
Infilata nuovamente la divisa, non resta che riprendersi il suo popolo: «In funzione del rientro alla Juve — annotano ancora i poliziotti — Bonucci si è subito preoccupato di contattare i capi ultrà, al fine di evitare che gli stessi possano organizzare momenti di contestazione diretti alla sua persona». A fine luglio, infatti, l’ormai ex milanista manda un messaggio whatsapp a Fabio Trinchero, 48 anni, uno dei leader dei «Viking», e tra i 29 indagati dell’inchiesta: «Mi farebbe piacere quando torno dall’America, fare due chiacchiere per spiegarti come effettivamente sono andate le cose». Va da sé, dell’andata-ritorno tra Milan e Juve. Risposta: «Con un confronto si possono aggiustare le cose». Bonucci, che anche durante la sua prima stagione bianconera, nel 2010/11, sopportò mesi di fischi, ha fiducia in sé stesso, come sempre. Tant’è che, il 6 agosto, in un’altra telefonata, a chi gli chiede della contestazione ultrà, lui taglia corto: «Tutto sotto controllo».
Attorno, per mesi, il clima della curva si farà pesante, tra striscioni di protesta e sciopero del tifo, per il caro biglietti e abbonamenti, tanto che, si scoprirà, i fischi a Bonucci sono solo una scusa. Come emerge da un’altra intercettazione, del 25 agosto, in cui il giocatore dice di aver parlato con uno della curva: «Mi ha detto che “non è per te, ma ti usano come pretesto per attaccà la società, per il caro biglietti, il caro abbonamenti, striscioni, tutta sta roba». Sullo sfondo — secondo l’inchiesta di Digos e Procura — ci sono però le presunte «estorsioni» al club bianconero. Mica facile giocare, con le tribù in sommossa, pensano alcuni in società. E un dirigente, intercettato, lo dice senza mezzi termini: «Ai giocatori non si riesce a spiegare (il perché della protesta, ndr). Fra i giocatori, Giorgio (Chiellini) potrebbe capire, ma agli altri…Uno come Leo (Bonucci), se gli scatta l’ignoranza è capace che ce lo troviamo in uno dei bar loro». Loro, gli ultrà.
fonte: corriere.it
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