BILBAO. La ferità che resta è quella con l’Athletic e le cicatrici per le svirgolate sul primo gol (angolo da destra, tutti fermi e vittima di un blocco, con Maggio e Britos che perdono la punta), sul secondo (esce Rafael, non prende il pallone che intanto Albiol ha perduto) e poi sul terzo (caos generale, Maggio sbaglia la diagonale e tiene in gioco un basco) dominano la scena. Contro lo Sparta Praga non vale: tiraccio dal limite, che passa tra venti gambe, e stavolta non c’è imperizia, perché l’uomo che deve uscire dal mischione ci prova ma arriva un nanosecondo dopo la battuta d’un avversario al quale qualcosa devi concedere.
RIFLESSI. Però un anno fa, zero reti subite con il Bologna e con l’Atalanta, uno appena da Borussia Dortmund, all’epoca uno spauracchio, essendo vice campione d’Europa: gestione sufficiente della linea difensiva, intanto passata dal dogma dei «tre» alla novità dei quattro, un sontuoso Albiol che diventa non solo il leader ma l’idolo, un Reina che si prende il San Paolo con una autorevolezza ed uno spessore da rabbrividire. Il problema resta e gli otto gol nelle sette partite restano a rappresentare un peso da rimuovere, una macchia da cancellare, un segnale da inviare al Napoli, affinché possa sentirsi con le spalle un pochino più coperte: perché altrimenti, brrr, resterebbero i brividi.
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