Quasi trent’anni fa finì come adesso: prima Juventus, seconda Roma, terzo Napoli. Era la seconda avventura di Maradona in azzurro, la prima di Ottavio Bianchi in panchina. La stagione successiva sarebbe arrivato il primo, storico tricolore. Bianchi vive a Bergamo, si sente napoletano, segue le vicende di quella che definisce la sua squadra. Non fa fatica nel riavvolgere il nastro della memoria. «Noi partimmo da una retrocessione scampata e quindi gli obiettivi iniziali erano più modesti».
Perché aveva perplessità a venire ad allenare il Napoli di Maradona?
«Dissi no a Ferlaino e Allodi perché conoscevo bene il modo di fare calcio a Napoli, parlo di mentalità. Da calciatore, vincevamo contro le grandi squadre e poi lasciavamo punti alle piccole».
Come il Napoli di oggi…
«Non posso valutare i problemi dell’attuale gestione, dico solo che allora occorreva una vera rivoluzione. Quando Allodi mi convinse ad accettare, fui chiarissimo: il percorso sarà molto duro, non si guarderà in faccia a nessuno, nemmeno a Maradona. Altrimenti non riusciremo mai a cambiare questa mentalità».
In che cosa consisteva?
«Il cambio mentalità doveva essere di testa e tattico. Il primo dipendeva dai giocatori, il secondo da me. In Italia si giocava molto in difesa e le squadre arretravano di venti metri quando perdevano palla. Per far capire ai ragazzi che invece di rinculare bisognava avanzare e pressare il portatore di palla avversario impiegai mesi e mesi ma fummo i primi in Italia a fare una cosa del genere. Dissi alla squadra: i protagonisti dobbiamo essere noi, sono gli altri a doversi preoccupare del nostro gioco».
Anche Benitez ha cercato di portare qualche innovazione.
«Verissimo e di questo gli va dato merito. Ha cambiato il modo di giocare della squadra, propone un calcio offensivo, più piacevole ma anche un tantino più fragile».
Lo spagnolo è stato anche criticato per questo motivo.
«Io dopo l’eliminazione dalla coppa Uefa a Tolosa, stavo per essere esonerato. Poi vincemmo scudetto e coppa Italia nella stessa stagione. Sono i rischi del mestiere, soprattutto per chi si fa promotore di grosse novità».
Il suo primo anno sulla panchina fu essenziale per gettare le basi dello scudetto?
«Sì, fu fondamentale. Migliorammo l’autostima e la consapevolezza di essere forti. Dicevo al gruppo: non fermiamoci dopo una vittoria, restiamo con i piedi per terra e pensiamo a vincere la prossima e poi quella successiva».
Il terzo posto fu comunque un mezzo trionfo, non si può dire la stessa cosa quest’anno.
«Per noi raggiungere la zona Uefa fu un grande traguardo perché l’anno prima si stava quasi retrocedendo. Credo che quest’anno a Napoli le aspettative fossero ben diverse».
Deluso dall’andamento di questo campionato?
«Deluso no ma immaginavo che il Napoli potesse lottare per lo scudetto fino alla fine. Non mi aspettavo una Roma così forte e una Juve schiacciasassi, vedevo gli azzurri favoriti anche perché avevano disputato una Champions strepitosa».
Secondo lei, Benitez è deluso?
«Ha cercato di ottenere qualcosa in più senza riuscirci. Ma nel complesso l’annata resta più che positiva, visto che lui era al debutto su una panchina così importante».
Cosa ha sbagliato lo spagnolo?
«A volte nei momenti di difficoltà, si sarebbe dovuto accontentare».
Adesso bisognerà migliorarsi.
«Il Napoli l’anno prossimo dovrà indossare i panni della grande squadra e dimostrare di aver assimilato la giusta mentalità in campo e fuori».
Comunque occorrono altri top-player.
«La vedo dura. Il nostro campionato non ha più il richiamo di una volta, i grandi campioni sono attratti da altri tornei».
Bisogna pescare in Italia?
«Oppure in casa propria. Sapete qual è la differenza sostanziale tra la mia squadra e quella di Benitez ? Nella mia c’erano tantissimi napoletani».
Fonte: Il Mattino
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