Veniva dal Bologna il goleador riccioluto che Ferlaino decise di portare alla corte di Vinicio per rendere più consistente il sogno di scudetto accarezzato nella stagione 1974-1975, quella che rivelò al campionato una squadra capace di praticare un calcio decisamente d’avanguardia. Savoldi Giuseppe di Gorlago (Bergamo), classe ’47, diventato Beppe-gol dopo la gavetta nell’Atalanta proprio a Bologna, sua prima patria d’elezione, un tipino che in area di rigore, di testa, sfruttando non comuni doti di elevazione acquisite praticando pallavolo e basket, o con i piedi, si faceva valere, eccome! Vinicio non si aspettava un acquisto di tale portata, la ciliegina sulla torta di una formazione che il «leone» aveva portato a competere da pari a pari con le grandi del torneo, Juve in testa, proprio quella Juve di «core ‘ngrato» Altafini, il brasiliano canterino che in una storica sfida a Torino (6 aprile ’75) aveva eliminato dalla scena del possibile scudetto la sua ex squadra.
Ma, la felicità di Vinicio, scemò parecchio quando l’ingegnere gli disse che il Bologna aveva chiesto, in parziale contropartita, metà Rampanti e, soprattutto, Sergio «gringo» Clerici, brasiliano bravissimo e generoso. Non ci fu verso di convincere Luciano Conti, presidente del Bologna ad accontentarsi di qualche altra decina di milioni per lasciare Clerici in azzurro.
Un miliardo e quattrocento milioni fu valutato Savoldi, più trecento milioni gli altri due, il totale fece scalpore, tanto scalpore da provocare anche inutili interrogazioni parlamentari sulla «follia» di una squadra espressione di una città allo stremo, ma anche l’ironica solidarietà di Enzo Biagi.
Nell’ultimo campionato al Bologna Savoldi aveva segnato 15 volte, una media-gol a stagione tenuta con la regolarità di un rallysta e, due anni prima, aveva raggiunto la vetta degli uomini-gol con Rivera e Pulici (17), ex aequo soltanto per la respinta di un ragazzotto ascolano, tal Domenico Citeroti che, in funzione di raccattapalle, piazzato a fil di palo della porta dell’Ascoli aveva respinto con un calcio nella rete il pallone appena tirato da Beppe, rimettendolo in gioco, chissà come non visto dall’arbitro.
A Bologna aveva spopolato e si racconta che i tifosi inferociti arrivarono a minacciare di brutto il presidente per convincerlo alla marcia indietro e, ancora, che Conti, al vecchio Gallia di Milano, le abbia tentate tutte per costringere Ferlaino a stracciare il contratto, ma che l’ingegnere gli abbia opposto una resistenza feroce e vincente.
Alla prima con la maglia azzurra ci vollero tre rigori per vedere bagnato da un gol l’esordio del nuovo centravanti: il primo parato, l’arbitro fa ripetere e il pallone sorvola i pali, a fine gara, finalmente, ancora dagli undici metri, l’atteso gol al Como.
Quattro anni quaggiù, 118 gare, 55 reti, una Coppa Italia, quinto posto il miglior piazzamento, due dischi con un discreto ritorno: «La favola del calciatore» e «Uè», una tosta smentita del bergamasco musone. Ancora oggi frequenta vecchi amici napoletani e di Napoli parla volentieri come sua terza adorata patria dopo Bergamo e Bologna. Perfino commovendosi un po’.
La Redazione
P.S.
Fonte: Il Mattino
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