Mica male l’Europa League, si pensava peggio. Il faccione assorto di quel demonio poliglotta di Rafael Benitez è il poster degli ottavi di finale: se c’è lui in ballo, col suo Napoli e con Higuain, e c’è il Porto con Jackson Martinez vuol dire che si fa sul serio e che un pezzo dell’antica nobiltà della Champions League è davvero trasmigrato qui, nella coppa dei poveri (anche vincendola, si lambirebbero i 10 milioni di montepremi totale), il cui livello tecnico è però più interessante del previsto. «Il Porto non è più forte di noi ma è davvero una grande squadra. Non credo che quella di stasera sarà la partita decisiva per il passaggio del turno perché tutto si deciderà al San Paolo ma intanto meglio per noi fare almeno un gol e non prenderne nessuno». Rafone è davvero di buon umore, non c’è che dire. Al suo fianco, per tutto il tempo del riscaldamento della squadra, c’è anche Aurelio De Laurentiis. Il presidente non ha lasciato neppure per un istante Higuain e compagni: ha viaggiato con loro e ha voluto anche vedere l’allenamento di rifinitura allo stadio in compagnia del consigliere delegato Andrea Chiavelli. Benitez ha le idee chiare su come passare il turno. «Dobbiamo vincere», dice in portoghese, perché a sorpresa allunga l’elenco delle lingue che conosce e capisce. Un vero demonio. «Il cambio di allenatore non è mai un vantaggio per chi deve affrontare la squadra che lo ha fatto: non è un caso che il Porto domenica ha segnato quattro gol». Non dà voti all’importanza della partita. «Da zero a dieci? Dico che è un match importante e che noi vogliamo passare il turno. Mica c’è chi si è dimenticato che questo club ha vinto coppe dei campioni e l’Europa League?». Già. Perché mentre i club italiani negli ultimi anni sulla strada dell’Europa League spesso hanno mandato le riserve neanche fosse un torneino che ti sciupa la vita (compreso il Napoli, sia chiaro), il Porto ha sempre deciso di viversi l’Europa League col realismo di chi sa che di questi tempi quella è la terra destinata alla lotta tra i bravi normali. «Questo non significa che non dovrò fare dei cambi, qualcuno riposerà e ad andare in campo non sarà la stessa squadra che ha affrontato la Roma. Ma ancora non so chi farò giocare, non l’ho ancora deciso». Il naso non si allunga e le gambe non si accorciano. Nessuno crede più alla favoletta del cuscino e dei consigli della notte. «Behrami sta meglio e le rotazioni in questa fase della stagione sono importanti. Anzi, fondamentali. Però adesso non penso al Torino: al campionato tornerò a pensare da domani». Maggio dovrebbe restare fuori per un affaticamento muscolare: sulla fascia destra Reveillere. Il tecnico qui a Oporto è già venuto quando era alla guida del Liverpool (finì 1-1, in porta c’era Reina) ma è difficile trovare uno stadio dove non abbia mai messo piede. «Se mi piace Jackson Martinez? Sì, ma vorrei che giocasse male queste due partite… Devo pensare ai miei attaccanti che spero segnino un gol… Un gol regolare». Usa di nuovo quell’aggettivo usò prima della semifinale di ritorno con la Roma. «Regolare». Che, allora spiegò, in Spagna non significa quello che pensiamo in Italia. È ispirato, Rafone. La vittoria con la Roma lo ha messo di buon umore. Bene così: «Il Porto non è lo Swansea: per passare il turno dobbiamo giocare bene e con il cento per cento della concentrazione fin dal primo minuto: noi abbiamo carattere e personalità per riuscire a farlo». Parole sante, perché le lezioni in casa dell’Arsenal, della Juventus, del Borussia Dortmund e dello stesso Swansea a qualcosa pur devono essere servite. Poi questo è il Porto dove ci sono giocatori che fanno gola a tanti e dove tutti, proprio tutti, hanno capito che se sei fuori dai soliti giri e non ti chiami Real, Barcellona, Manchester United o Bayern Monaco allora meglio pensare al torneo più democratico che c’è. E il Napoli è ormai sulla stessa lunghezza d’onda.
Fonte: Il Mattino
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