IL PANORAMA. Visto da lassù, da Posillipo, l’universo ha i riverberi che splendono e catturano magneticamente in quello specchio d’acqua accattivante; ma al di là delle mura, nel «Pausilipon», dominano il dolore e domande irrisolte sulla fede e speranze che nascono e spariscono e una «normalità» che l’arrivo di Benitez pare restituire almeno per un’ora e mezza. «Sì, è vero che anche io sono arrabbiato come te per il pareggio con il Cagliari…Ma dài, ci passerà….». C’è un mondo, al «Pausilipon», e una madre spagnola d’un bimbo napoletano che può esprimersi in castigliano; e ci sono vite annodate tra la Pediatria Oncologica, l’area protetta e quella del trapianto del midollo osseo e l’ematologia che si scuotono e paiono (e lo sono) persino allegre e braccia che s’allungano per stringersi a Benitez e raccontargli che un giorno saranno allo stadio, al san Paolo, per tifare per lui, ché ormai è amico loro.
RACCONTATEMI. E la chiameremo esperienza sensoriale, perché è al «Pausilipon», entrando laddove c’è scritto «in nome della vita», che si coglie l’essenza di questa esistenza: la osservi, la annusi, la gusti e però la detesti anche, dopo esserti fatto raccontare dal dottor Ruotolo, il direttore sanitario, e dal dottor Gargiulo, il direttore amministrativo, quale sia il percorso da affrontare e dove porti, e quanti lo intraprendano – sessanta posti letto, una trentina di day hospital – e dove possa condurre, quel misterioso viaggio nell’ignoto, restando a vagare tra pensieri sparsi e però avvertendo d’aver cominciato una sfida inizialmente impari, ma che si può vincere. E a volte può aiutare a sentirsi meglio anche il soffio d’un sorriso.
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