Ha visto Maradona. Rafa lo ha visto e poi mai più. E di certo non (s)cade nel classico giochino dialettico del paragone: troppo intelligente, Benitez. E anche scafato, misurato e abile con le parole come un vero giocatore di poker. E da pokerista consumato cala gli assi a ripetizione: «Nel mio Napoli non c’è un Maradona. Non esiste. Il mio Napoli si basa sul collettivo». Olè.
– Sì, la virtù sta nel mezzo, secondo Rafa. Anche dal punto di vista tattico. Del gioco: «Il Napoli è ancora una squadra in evoluzione. Mi spiego: prima del nostro arrivo, il gioco si basava sul contropiede e si lavorava per Cavani, mentre l’impianto che noi abbiamo cominciato a mettere in piedi è molto più imperniato sul possesso. Dunque, per il momento, viviamo una fase di transizione, di passaggio tra due idee di gioco. Però sia chiaro: il possesso non è fine a se stesso, bensì è un modo di intendere il calcio. Io, però, dico sempre che l’equilibrio è fondamentale: e dunque bisogna costruire una squadra capace di gestire il possesso quando deve e allo stesso tempo di giocare in contropiede quando serve».
– Poi, mirino sui singoli. Chi è il Maradona del suo Napoli? «Non c’è. Lui era molto al di sopra degli altri. Noi, invece, vogliamo giocatori
che possano essere funzionali e decisivi per il gruppo. La nostra squadra si basa molto sul collettivo, anche se, per esempio, c’è un Higuain che, sì, può essere più essenziale in certi momenti: Gonzalo non è un giocatore che sa soltanto segnare, ma è un attaccante che partecipa al gioco e aiuta la squadra a giocare meglio». Ma non finisce qui: «In questo Napoli c’è Callejon che ha realizzato sei reti in campionato, come Hamsik, mentre il Pipita ne ha fatti cinque. E quest’analisi spiega chiaramente chi siamo: alcuni giocatori sono fondamentali in attacco e altri in difesa».
– Sì, Rafa cita Callejon, «e poi Albiol, molto importante per l’assetto e il gruppo, e Reina, che ha la nostra totale fiducia». Giusto. Ma è su Calleti (il soprannome di Callejon) che il discorso prende una piega interessante: «Se è da Nazionale? Questo è il lavoro di Del Bosque e io non voglio mettergli pressione, però lui è un giocatore con caratteristiche che altri non hanno: in pochi hanno la sua capacità di inserimento, la sua abilità di smarcarsi. E poi ha voglia e lavora».
– Spagna, Madrid. La sua terra e la casa blanca. Gli girano messaggi di qualche tifoso del Real che lo vorrebbe in panchina: «Fa sempre piacere che la gente si ricordi di me e del mio lavoro, ma ora sono al Napoli e il Madrid ha il suo allenatore. Ancelotti: un grande tecnico».
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