Piacere, Rafa: le luci che illuminano e le verità ch’emergono, un giorno può essere un anno e sta per arrivare il 3 maggio, la finale di Coppa Italia, un volano per lanciarsi nell’Olimpo che non può attendere. «Certo che vogliamo vincerla». Piacere, Rafa: l’occhio indiscreto delle telecamere di +N indugiano sulle smorfie, raccolgono i sospiri e la regia, in «casa Napoli», afferra al volo quel refolo d’augurio a se stesso, a chi ormai lo ama: «Gli scudetti non si promettono, non sarebbe giusto, né serio. La differenza tra noi e la Juventus e la Roma non è quella emersa in questa stagione e l’anno prossimo lotteremo per vincere». Il piacere di Rafa.
SUPERMARKET. E quando arriverà l’estate, si riaprirà una giostra che in realtà non s’è mai chiusa: perché il mercato è sempre, è ovunque, è un desiderio perenne, è bulimia calcistica. «Sappiamo cosa fare, anche per migliorare la marcatura preventiva. Con Bigon c’è confronto quotidiano, abbiamo le idee chiare, si possono acquistare due pezzi da novanta che, come Reina, diano esperienza, e giovani in stile Callejon e Mertens. De Laurentiis è garanzia, basta rivedere il percorso del Napoli negli ultimi dieci anni: ragiona al di là del risultato, vuole un club sempre più grande. Siamo consapevoli che il passo più difficile sia il prossimo, ma non vogliamo sbagliarlo».
Tutto in una notte, in una finale che richiederà testa e cuore: «Possiamo vincere, vorrei vincere, ma guai pensare d’essere i favoriti. Sfidiamo una Fiorentina che ama palleggiare tanto e che lo fa bene e che ha tutto da guadagnare rispetto a noi. Mancherà Cuadrado, il calciatore che maggiormente mi ha impressionato; non ci sarà Gomez, potrebbe non esserci Rossi: certo, è un vantaggio, ma certe partite hanno bisogno di interpreti del genere e mi spiace che non ci siano. E’ la gara più importante e sarà bello scoprire chi avrà più personalità».
MAREKIARO. Tormento(ne) e però anche estasi: trecento volte Hamsik, in sette stagioni, però ciò che rimane d’una stagione in chiaroscuro è la stima di Rafa, la sua fiducia in quell’uomo senza macchie: «E’ rimasto fuori a Milano, ma io deve fare delle scelte ed è sempre difficile per me escludere qualcuno di quei quattro. Marek è straordinario, è intelligente, può fare quello che vuole in campo. L’infortunio lo ha penalizzato, pensavo potesse arrivare a quindici reti ed aveva cominciato bene; ora gli manca solo il gol».
Poi c’è un passato che (inevitabilmente) riemerge, sull’onda anomala d’uno 0-0 che ha elevato l’autostima per quei 45′ di calcio verticale ed autorevolissimo. «Secondo tempo davvero bello, ma anche nel primo tempo abbiamo sprecato. Quanto ai miei sei mesi all’Inter, s’è già detto tutto: Moratti sa di aver sbagliato, ma ora deve far finta di non saperlo. Io quando sono arrivato non dovevo dimostrare nulla».
L’AUTORITRATTO. La spillina celebrativa che va di moda («in Rafa we trust») è la rappresentazione d’un idillio: ma chi è Benitez, onestamente, al di là dell’ufficialità e del protocollo? «Semplicemente un uomo normale, che ama lavorare e programmare. E poi non mi piace urlare, ma insegnare. De Laurentiis è un fenomeno, avevo appena chiuso il telefono con Bigon e me lo sono ritrovato a Londra per la firma. Stavolta è andata così, ma non siamo tanto inferiori a Juventus e Roma a volte per cambiare una stagione può bastare un episodio. Non cerchiamo alibi, ma abbiamo avuto tre esterni sotto ai ferri». He has a dream….: 3 maggio 2014.
Fonte: Corriere dello Sport
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