Rafa Benitez è rilassato o quantomeno prova ad esserlo, nonostante quest’intervista sia stata realizzata al termine di una giornata con doppia seduta di allenamento. Educazione, garbo e tanta comunicatività. Sono i punti fermi del suo approccio. «Scusi per il ritardo, ma stavo prendendo tre calciatori. Avrà più notizie da scrivere». E’ il saluto, scherzoso, di mister Rafa. Col sorriso. Stretta di mano e doppio bacio. Colore e anche calore. Abitudini e origini che avvicinano la Spagna a Napoli. E il suo calcio sarà la sintesi.
Perchè in Spagna si vince da sempre, ci sono campioni in tutti gli sport?
«Parlo di calcio: si lavora molto bene nel settore giovanile, da anni ogni squadra di quel Paese gioca con la stessa idea, con un gioco simile. Prima mancava un po’ di fiducia, adesso le vittore, i trofei hanno colmato questo limite. In Spagna c’è la convinzione e la assoluta dedizione al lavoro, sin da quando si è ragazzini».
La palla al centro di ogni azione, al di là di schemi e tattica. I suoi primi allenamenti con il Napoli hanno fatto vedere questo.
«L’ottanta per cento del lavoro si fa palla al piede, il venti senza. E’ questa la mia idea, l’ho portata qui e i giocatori sono contenti. Se possono correre meno e avere sempre il pallone tra i piedi sono felicissimi. Peraltro, così si fa un lavoro tecnico e anche atletico. Ci si stanca pensando di non stancarsi».
Napoli versione Barcellona?
«Napoli che cambia passo e mentalità. Se vogliamo andare avanti e ambire a grandi successi internazionali, bisogna imparare questo calcio».
E’ la sua missione in terra partenopea?
«Il Napoli ha fatto benissimo nelle ultime stagioni, l’anno scorso è arrivato secondo. A questo punto però bisogna fare qualcosa di diverso, cambiare mentalità e competere con i grandi club d’Europa. Io e il mio staff abbiamo lavorato in tre Paesi, sappiamo cosa fare e pensiamo di poter portare il nostro contributo a Napoli».
Cambiare tutto può essere rischioso ai fini dell’immediatezza dei risultati?
«E’ sempre difficile fare una cosa diversa, ma la società può permetterselo e la mia volontà è quella di portare il calcio che abbiamo sempre fatto anche qui. Posso aiutare e anche imparare, sono sicuro che ci toglieremo grandi soddisfazioni».
Diverso, rispetto al passato, è anche il profilo dei giocatori che lei ha chiesto.
«Cerchiamo qualità ma anche esperienza. In Champions League puoi fare la differenza se hai calciatori forti tecnicamente, con una visuale di calcio internazionale. Giocatori con esperienza. Si arriva ai massimi livelli con una rosa ampia e forte. Non possono giocare sempre tredici, quattordici giocatori. Il turn over è possibile se hai qualità, è necessario quando ci sono tre competizioni da affrontare. E tutte da onorare».
Sul suo sito internet dà lezioni sul suo calcio. Schemi e moduli disegnati. Che fa, dà un vantaggio agli avversari?
«Quelle sono analisi generali, il mio staff studia molto e anch’io mi aggiorno continuamente. Ma poi la partita la organizziamo senza occhi indiscreti, ci sono cose che non si mettono su internet».
Il quid del Benitez allenatore?
«Il dialogo, senza urlare».
Non avrà Cavani, eppure anche lei ha cercato di convincerlo a restare. Cosa gli aveva detto?
«Non tantissime cose, lui è un professionista giustamente ambizioso. Quando gli ho parlato non aveva ancora la squadra pronta a pagare la sua clausola, ma ebbi la sensazione che se fosse arrivata sarebbe andato via».
Napoli e Liverpool due città simili. Anche per mentalità e modo di vivere il calcio.
«Hanno molto in comune, la gente è simile. Vivono la passione calcistica con grande trasporto. Un rapporto intenso, viscerale. E’ stato questo anche uno dei motivi che mi ha spinto a venire a Napoli».
Conosce dunque la gestione dei tifosi che dopo una vittoria parlano di scudetto, ma alla sconfitta si deprimono.
«Sono da tanti anni nel calcio per sapere che si vince alla fine. Dobbiamo essere tranquilli e lavorare con fiducia. Capisco le emozioni forti, la mia responsabilità sarà quella di trasmettere tranquillità».
Liverpool-Milan: 3-3. La sua partita della vita?
«Sì, e non solo per il risultato. Per i tifosi, per la partecipazione emotiva della gente. Ecco, credo anche a Napoli ci sarebbe stato lo stesso clima»
Hamsik ha qualcosa in più di Gerrard o Lampard?
«Sono giocatori diversi. In Marek ho visto tanta voglia di crescere, sono sicuro che arriverà a grandi livelli».
Napoli è molto vicina alla Spagna per origini, l’ha avvertita questa simbiosi?
«Certo, ogni volta che parlo con Insigne o anche Pecchia. Siamo spagnoli tutti, parliamo la stessa lingua».
Sarà un allenatore sempre chiuso nel centro sportivo o vivrà dal di dentro la città?
«Voglio conoscere gente e vedere cose. Non sarà facilissimo, c’è da lavorare tanto. Se andiamo avanti in Champions avrò meno tempo e me lo auguro. Ma troverò il modo di vivere Napoli».
Ha chiesto ai tifosi di suggerirle luoghi da visitare. Ha già visto qualcosa?
«Solo Castel dell’Ovo, ma i consigli sono stati tanti. Molti mi hanno invitato a casa loro. Mi hanno promesso ragù e pizza. La cucina è un altro fiore all’occhiello di questa città».
Indosserà anche al San Paolo i suoi calzini con le immagini dei cartoon inglesi?
«Credo proprio di sì. Poi se vinco non li tolgo più».
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
La Redazione
L.D.M.
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