C’è un buco nero (azzurro): è il passato che non torna, il veleno (altrui) da farsi scivolare addosso, la sensazione di andare oltre, di lasciarsi alle spalle ciò ch’è stato, di ignorare l’eco distinguibile di alcune voci e le allusioni. C’è un buco (nero)azzurro che ha inghiottito Moratti e Materazzi e li ha lasciati in quel vuoto che si staglia all’orizzonte di Rafa Benitez: perché stasera, a San Siro, ammesso che succeda, non ci sarà spazio per guardarsi negli occhi neanche un istante e per fingere di salutarsi un attimo. «Guardi, dovessi incontrarli, non me ne accorgerei, perché io prima d’una partita sono concentratissimo sulla gara e quando esco dallo spogliatoio vado dritto. E poi non ho vendette da consumare. Nei miei sei mesi all’Inter ho vinto quel che ho avuto la possibilità di vincere; con i tifosi e con chi ha lavorato al mio fianco ho avuto un ottimo rapporto».
No look. Inter-Napoli: è san Siro che si ripresenta dinnanzi a Benitez e lo costringe a riflettere, intimisticamente, mica a travestirsi da ciò che non è: perché l’ipocrisia no, non è contemplata nel proprio modo di vivere la vita. «Io guardo avanti». E dunque, indietro non ci si volta, non per incrociare Moratti e/o Materazzi, seppur dovesse accadere, ma per andare ad attraversare l’ultima notte prima dell’esame dell’Olimpico, di quella finale di coppa Italia che rappresenta il collante d’un universo (stavolta) soltanto azzurro. «Ma questa è una partita importante, che potrebbe farci chiudere il discorso per il terzo posto».
Io e lui. – Il resto è filosofia spicciola di pensiero, è balsamo da lanciare sulle ferite di chiunque altro voglia fare d’un match una sfida personale tra Benitez ed il proprio predecessore. «Questo Napoli non è né il mio, né di Mazzarri. Lui ha fatto benissimo nei suoi quattro anni; io penso a migliorarmi, a battere i record dei punti e delle vittorie in trasferta, magari a fare in modo, con i ragazzi, che Higuain vinca la classifica cannonieri. E’ stata una stagione positiva, finora; e possiamo renderla più bella in queste settimane, ma anche andando a San Siro e giocando come sappiamo fare».
Ditemi chi siete. Ma ne mancano ancora quattro da giocare e andrà cercata la testa tra le pieghe d’un finale in cui, inutile negarlo, c’è lo stadio Olimpico che acceca, che abbaglia, che illumina d’immenso quei trentamila già in viaggio verso Roma: e il 3 maggio, diamine, sta per arrivare. « Ci presentiamo a Milano per vincere, perché questo è il nostro modo di essere, ma portando rispetto ad una squadra che ha valori. Chi va in campo dovrà inviarmi un messaggio: io voglio giocare la finale».
Pezzi da novanta. Perché il futuro è adesso, è tra sette giorni, è nel mercato che verrà e che inchida Benitez alla panchina del san Paolo: «Stiamo lavorando per migliorare l’organico, io e Bigon parliamo tutti i giorni: vogliamo essere forti e competitivi e per riuscirci serviranno due pezzi da novanta e giovani che abbiano fame». E allora: meglio essere veri, autentici, uomini dentro e fuori, depurati d’ogni finzione, meglio dirlo chiaramente che «Maggio probabilmente non ce la farà a darci una mano neanche a Roma» e meglio spiegare a Insigne «che segnerà, perché ha margini di miglioramento, ha resistenza e velocità; e se ora non accade, stia tranquillo, lavori, non pensi che ciò non accada solo perché deve fare la fase difensiva, mica deve coprire tutta la fascia…».
Gli scugnizzi, con rispetto parlando, possono avere anche 54 anni…
Fonte: Corriere dello Sport
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