Il tepore autunnale sostituisce il borbottìo dei bambini in costume da bagno con la pace dei monasteri in questo resort dove il vento decide se odorare di mare o di campo. Per vicoli tanto grandi quanto la solitudine, passeggia un uomo che non si sentirà mai solo perché ha sempre con sè una valigetta e un pensiero. Procede a passo svelto, come un dottore che non è atteso da nessun paziente, ma da una squadra. Rafa Benitez parla con la direttrice dello svolgimento dei lavori della sua abitazione all’interno del proprio hotel e dal quale non si vedono altri orizzonti se non campi e campi di calcio. Non ha bisogno di altro, non vuole altro, come un monaco che si isola da quest’altro orizzonte di panni stesi dove l’esuberanza votiva divora qualsiasi regola. E’ Napoli, la città della sua squadra, l’antico regno delle Due Sicilie fremente per questa nuova passione spagnola, tra coloro che mai si sono sentiti del tutto italiani. Benitez, uno spagnolo “freddo”, molto ‘british’, la celebra e al contempo la teme mentre fa calcoli così come Petrarca componeva versi rinchiuso tra le mura del Maschio Angioino, perché fuori le mura, il calcio è come la vita: non ha freno.
L’ allenatore conclude la chiacchierata con la direttrice. Tutto sarà pronto e in ordine, afferma lei. Continuando, poi, chiede un più tempo al suo ospite vista la mole di lavoro da svolgere. Il tecnico è appena tornato da Firenze dove il Napoli ha battuto la Fiorentina. I giocatori sono andati a casa a riposare, Benitez, invece, ha in programma una riunione coni suoi collaboratori, Paco de Miguel e Antonio Gomez, per visionare il video della partita che hanno appena disputato. Dopo, immagini riguardanti il Catania, prossimo avversario che dovranno montare e mostrare a i giocatori in frammenti che possono essere facilmente memorizzati. Dopo, perché c’è sempre un dopo, incluso in questo luogo che invita al dolce far niente, alle tre della notte, Benitez sospende la riunione e improvvisa una cena di famiglia con il suo staff, prestando attenzione al visitatore che è venuto a cercarlo fino a Castel Volturno, a circa 40 Km al nord di Napoli.
-Non si sente solo?
– C’è tanto lavoro da fare…! -esclama-. Vorrei avere qui con me la mia famiglia, però le mie figlie sono in un momento importante della loro carriera scolastica e un trasferimento, per loro, sarebbe stato rischioso. Tutto lo staff tecnico si trova nella stessa situazione. Ci sosteniamo a vicenda.
Montse, sua moglie, e le sue due figlie continuano a vivere a Liverpool. Il primo tentativo di trasferimento, quando Benitez guidava l’Inter, fu negativo in tutti i sensi. Nonostante ciò, l’appartamento che sarà costruito all’interno dell’Hotel, avrà anche camere per loro. “Questa esperienza e quella dell’Inter non hanno niente in comune, anche se si tratta dello stesso paese e dello stesso calcio. C’è una differenza fondamentale. Qui, quello che si dice, si fa. Perché c’è un presidente che lo fa (Aurelio De Laurentiis). Ha fatto tutto quello che gli ho chiesto, mentre Moratti, al contrario, non ha fatto nessun acquisto da noi richiesto. Ci ha fatto delle promesse che, poi, non ha mantenuto”, spiega il tecnico.
– Tre dei giocatori nella sua rosa sono spagnoli, Callejon, Pepe Reina e Albiol. Sta provando a riproporre il modello di Liverpool?
– Quando arrivi in un campionato diverso, la cosa più importante è l’adattamento e per accelerare questo processo è importante avere validi interlocutori fin dal principio, calciatori che conoscano i tuoi concetti e che, inoltre, li possano trasmettere. La lingua è importante perché ci sono molte sfumature che possono sfuggire.
Benitez ha annotato nel suo taccuino parole chiave utili a trasmettere le istruzioni che reputa fondamentali, come se fosse un pilota di linea che deve maneggiare concetti universali. Allo stesso modo nel calcio. Gli aneddoti riguardo questo concetto arricchiscono la cena. Il più divertente fu quando, dicendo a Gerrard del Liverpool di stare attento al vento, la sua pronuncia trasformò il vento (wind) in vino (wine).
Dopo aver vinto titoli in tre paesi differenti, tutto quello che si può raggiungere come allenatore di club, una delle sue conclusioni è che bisogna conoscere tutto ciò che c’è attorno, come i giocatori e le loro abitudini, le tifoserie, perché ogni luogo regala diverse sfumature. Nonostante questo, ha notato similitudini tra Napoli e Liverpool: “Non sono capitali, sono città di lavoratori, e in un certo senso emarginate, dove il calcio non è solo uno sport ma anche una forma di riscatto sociale. A Liverpool la gente mi aiutò tantissimo e mi adora. Qui, fin dal primo momento, sono eccitati e ferventi. Bisogna vedere cosa succederà quando le cose non andranno tanto bene. Insisto col mantenere un profilo basso e coerente, perché arriveranno anche momenti difficili”.
-Quanto deve il calcio spagnolo alla gente come lei, agli emigranti? Benitez sorride perché la domanda è di suo gradimento…
-In Spagna ci sono Xabi Alonso e Fabregas… Sono tornati dopo essersi migliorati militando in un campionato fisicamente più esigente e hanno apportato dei miglioramenti anche in Nazionale. Io guardo il calcio spagnolo senza la passione di chi lo pratica. Mi permette di analizzarlo con più freddezza. Il possesso di palla è importante, però si è convertito in un’ossessione. Esistono altri modi di ottenere un risultato. Il calcio inglese, per esempio è molto più pratico. Per noi lasciare la Premier e riuscire adesso a contrastare il calcio inglese a livello tattico ci ha arricchiti molto. Modificare la difesa, accorciare o allungare la squadra è totalmente differente da paese a paese. In Spagna pressi un esterno e se l’esterno riesce ad uscire dal pressing inizia la fase di transizione. In Inghilterra se passi la palla al portiere all’interno della tua area di rigore, secondo statistiche della Premier, ci sono portieri che sono coloro che fanno più passaggi di tutti all’interno della propria area. In Italia abbiamo affrontato squadre che hanno giocato con il 4-4-2, altre con il 4-3-3, con il 4-3-1-2 fino ad arrivare al 5-2-1-2. Ogni squadra cambia modulo durante la partita. Devi adattarti senza impazzire e capire che tutto questo esiste e che bisogna conviverci. Tutto questo è impossibile apprenderlo senza muoversi dal proprio paese. Per questo, credo, che coloro che escono dai propri confini e apprendono tante cose, sono più competitivi.
Pep Guardiola è uno che ha preso questa decisione, anche se, precisa Benitez, lo ha fatto trasferendosi in un club molto potente: “Tenendo in considerazione il livello della squadra, è molto difficile non vincere un titolo con il Bayern”. “Imporrà la sua idea e la sua mano già comincia a vedersi”. “Conosco bene Carlo Ancelotti, è una brava persona ed un grande allenatore, e di Martino tutti mi parlano benissimo”.
-Non ha mai pensato di tornare?
-Durante il periodo in cui non ho allenato, ho ricevuto offerte, ma aspettavo la squadra giusta. Ora devo pensare ad essere competitivo contro Arsenal e Dortmund nel “gruppo della morte”. In Campionato, siamo dietro alla Roma che ha il vantaggio di disputare una sola partita a settimana.
-Potranno servirle tutte le sue conoscenze per poter allenare un giorno la Nazionale spagnola?
-E’ un sogno, però in futuro. La Spagna deve ancora vincere altro con Del Bosque…
Fonte: rafabenitez.com
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