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Benitez e Wenger, amici oggi nemici. Tanta stima tra i due e un modo simile di vedere il calcio

Uno spagnolo e un francese. Sono amici Benitez e Wenger, quelli che in Inghilterra chiamano il “mago” e il “professore”. E il “professore” del “mago” dice sempre bene. Perché è stato (e lo è ancora) straniero in terra straniera come lui? Perché assieme e per lunghe stagioni hanno fatto la “guerra” ai monumenti inglesi del pallone che scrivono libri e sputano sentenze assai taglienti? Sì, forse anche per questo, ma di sicuro perché di Rafa ha sincera stima.

LA STIMA – « Benitez? E’ un top class manager», dice infatti Arsène Wenger, ex spilungone di difesa dalla tecnica mai troppo brillante, ingegnere, specializzato in economia, a metà anni Ottanta raccomandato al Nancy dal papà di Platini, oggi felicemente coach di mestiere a dieci milioni di sterline l’anno. «Benitez – racconta Wenger – è un allenatore di primo livello. Un formidabile istruttore. Infatti, quando si affronta una sua squadra si sa in anticipo che sarà una sfida dura ». Sorrisi e pacche sulle spalle, insomma. E poi? E poi anche tanti complimenti. « Sì, complimenti per la sua capacità d’adattarsi in fretta ai cambiamenti. Sono certo – dice il “professore” – che con lui alla guida anche il Napoli diventerà una squadra straordinaria ».

LE ORIGINI – Già, può darsi. Ma intanto, come nasce questo feeling? Da dove arriva quest’amicizia salda, solida e persino sincera: roba che nel calcio non è proprio cosa di tutti i giorni? Beh, parte da lontano. Da una spontanea e sconosciuta affinità, prima ancora che da una inglese e personale conoscenza. Affinità fondata sullo stesso modo di pensare calcio; pensieri formatisi alla fine di percorsi comunque assai diversi.

AFFINITA’ – Affinità, forse figlia anche d’una stessa, straordinaria presunzione: quella di cambiare, di europeizzare il calcio inglese. Lo cominciò Wenger nel ‘96, lo inseguì e lo interpretò poi Benitez dal 2004 questo sogno d’un calcio diverso, divertente, cacciatore di giocate nuove. Sogno costruito su un’idea di calcio che propone, che crea gioco, che pensa più a far gol che a coprirsi per principio o per speculazione.

LA SFIDA – Bel coraggio arrivare in Inghilterra, terra madre e padre del pallone e dettare regole diverse, abitudine nuove, metodi rivoluzionari anche negli allenamenti e nell’alimentazione. Ebbene, dopo diciassette anni di Arsenal, non c’è inglese che oggi non riconosca a Wenger d’aver vinto quella sua impossibile battaglia. Suo, infatti, più d’ogni altro, come dimostra anche la storia più recente della squadra, il contributo allo sviluppo di quel calcio che una volta era noiosamente tutto muscoli e tutto lanci lunghi.

IN SCIA – Ebbene, per convinzione ed educazione, su questo sentiero s’incamminò subito Benitez quando passò dal Valencia al Liverpool trasformando una squadra moscia e stanca in squadra spumeggiante e anche vincente.

LA SIMPATIA – Ecco, di qui quella simpatia immediata. Quella stima reciproca. E forse anche quella corsa a superarsi nella voglia d’un calcio d’attacco. Anche se, bisogna essere sinceri, il professor Wenger, che integralista non è, al 4-2-3-1 con scivolamento naturale nel 4-3-3 c’è arrivato dopo essere passato attraverso un rassicurante 4-4-2 dei primi tempi inglesi e un blindatissimo 4-5-1 dei periodi complicati.
Bene, domani sera amici contro un’altra volta, Wenger e Benitez. Sfida ormai lunga e ricorrente, la loro. Incroci che hanno già una storia. Ventuno volte contro, infatti, con il “professore” che per ora batte il “mago” nove a sei. Già, ma questo non vale per la Champions, dove è in vantaggio Rafa per due a uno (e due pareggi), con un benaugurante precedente per gli azzurri: in casa, in Champions, Wenger non ce l’ha fatta mai a battere il suo amico “top class manager” al momento un po’ in difficoltà da queste parti. A differenza sua, che il Premier invece va che è una bellezza, dettando legge, tenendo a distanza tutti e portando orgogliosamente in giro per l’Europa il meglio del calcio d’Inghilterra.

Fonte: Corriere dello Sport.

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