CASTELVOLTURNO – Tre è il numero che perfettamente rende l’idea del Napoli, la sintesi (chiaramente perfetta) d’una vocazione offensiva tradita non solo dagli attaccanti (o presunti tali) ma dall’atteggiamento generale della squadra, dalla sua capacità di correre in avanti. Higuain lassù ed alle sue spalle uomini decisi a tutto, gente che sa quello che deve fare, come lo deve fare, quando lo deve fare: praticamente sempre, poi può capitare che non riesca la lettura del copione, ma sono cose che succedono (anche se raramente). E comunque si ricomincia pure stavolta da tre, naturalmente, perché la matrice è nel 4-2-3-1, in quel desiderio (calcolato) di lanciarsi con un bel po’ di gente al di là della linea del pallone: e però adesso – e nonostante l’assenza di Hamsik – c’è l’imbarazzo della scelta, ci sono esterni e seconde punte che offrono, tutti assieme garanzie e che consentono di manipolare l’organico ad uso e consumo di Benitez. Si riparte da quei tre, quindi, con un dubbio amletico che resiste sistematicamente: ma chi esce? Con l’Inter hanno cominciato quelli che hanno chiuso contro l’Arsenal, però sistemando Mertens alle spalle del pipita, per andare a dar noia a Cambiasso; contro il Cagliari, volendo, si può tornare all’antica: Pandev pare un filino avanti rispetto alla compagnia e la sua miglior versione è quella ch’è emersa nel secondo tempo dell’Olimpico (contro la Lazio) e poi nel 3-3 rocambolesco (e un po’ rovinoso) con l’Udinese. Vanno trovati i partner: Callejon sembra un intoccabile, concede corsa, coperture, diagonali, ripartenza e pure i gol: inavvicinabile nel concetto tattico di Benitez; l’altro “socio” offensivo va scelto tra Mertens ed Insigne, da sistemare sulla corsia mancina: il vantaggio di Insigne è irrilevante, se la gioca spalla a spalla con il belga, perché avendo nel dna la naturalezza a far male, è un’arma da sfruttare. Ma l’altra lettura induce a sostenere che Mertens sia indiscutibilmente più resistente e assai propenso a dare il proprio contributo per allineare la metà campo. E comunque cambia poco: perché con Higuita vanno sempre all’attacco.
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