Napoletamente vostri: affinché sia chiaro che c’è una squadra che ormai ha assorbito ogni cosa della sua città, la filosofia di vita, l’aspirazione a spingersi oltre la sua bellezza, l’irriducibile ossessione per concedersi una dimensione universale. Napoletanamente vostri: e vabbé che ci sono (ci sarebbero) cose che si pensano e non si dicono, ma stavolta il comune senso del pudore resta sacro, inviolato, e in quella Berna ch’è aristrocraticamente bella, non restano incrostazioni lessicali – nè briciole d’etica scorretta – quando nell’aria galleggia, imperitura l’intraducibile «cazzimma». Lo dice Inler, lo ribadisce Rafa, l’avverte nella pelle il Napoli quel desiderio smodato di riprendersi il proprio destino tra le mani, di riuscire a rappresentare semplicemente ciò ch’è stato un anno fa (ricordate?) quando giocava verticale, sempre 4-2-3-1, produceva gol in quantità industriali – pur subendone – ma sfidava il Borussia Dortmund guardandolo negli occhi, e negli scontri diretti anche la Juventus e la Roma, in realtà decollate in campionato ma sculacciate nei faccia a faccia. E invece questa stagione sta diventando un tormento, anzi (adesso) due, perché dopo il san Mamés è spuntato san Siro, quel quarto d’ora autentico di follia (collettiva) nel quale altro che le montagne russe: 2-2, dopo essere stato in vantaggio nell’un caso e nell’altro e la faccia di Benitez ch’è tutta un programma, quando gli si chiede por qué ora non sia possibile essere il Napoli di dodici mesi fa. «Io penso che siamo comunque sulla strada giusta. Anche domenica, nel primo tempo, avremmo voluto fare quello che poi siamo riusciti a realizzare nel finale: non ci siamo riusciti, peccato. Ma ne abbiamo parlato negli spogliatoi, siamo usciti nella ripresa ed abbiamo cominciato a giocare. Però vuol dire che nelle nostre corde quel calcio esiste, ed attraverso quel modulo. E se lei mi chiede cosa ci manca per riuscire a chiudere poi le partite, allora le rispondo alla napoletana: la cazzimma». Che sarebbe – in teoria – la furbizia (come viene spiegato al traduttore assai perplesso) e che invece è qualcosa di più, è un modo di vivere, è una capacità di cogliere con intuito, con intelligenza, impavidamente l’esistenza, o forse è anche altro ancora, forse una miscela magicamente misteriosa di tutto ciò: «E’ vero che avremmo dovuto avere qualcosa in più di quello che ci ritroviamo: lo dicono le statistiche, ma non basta. E allora bisogna scuotersi, reagire e ripartire da noi stessi e ritrovare la giusta intensità».
Le risposte. Tra Young Boys e Napoli c’è l’ennesimo test, tanto per gradire, e pure stasera ci sarà un pericolo da esorcizzare («il sintetico non è la stessa cosa dell’erba naturale, loro ci giocano sempre e noi solo stavolta: ma siamo qui per far risultato») e pure stavolta serviranno motivazioni forti sulle quali lavorare, magari anche per Antonio Conte, con il quale Benitez ha sorriso («abbiamo parlato di Maggio, Insigne e Jorginho, abbiamo parlato di calcio») e pure a Berna servirà chiunque («ho la fortuna di avere un organico che mi consente di cambiare, non so chi gioca e non ho preoccupazioni, neanche per l’astinenza in campionato di Hamsik e Higuain: non è normale che stiano ancora a zero gol in serie A, ma segneranno»). Poi magari va a finire che, d’improvviso, dopo averla invocata, evocata, pronunciata, da qualche parte ne venga fuori un po’….«Noi siamo qui per vincere». Con quella lì, come si chiama?
Fonte: Corriere dello Sport
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