NIENTE TENSIONE. Ricostruire il Napoli non è esercizio complesso, nella quiete di Castelvolturno, in quel colloquio che ha il desiderio di incollare le pagine d’un promemoria smarrito poi cammin facendo, nel corso d’una domenica amaramente paradossale: perché quando il Chievo è volato via, il Napoli s’è dissolto come entità di squadra ed ha cominciato a ragionare caoticamente e, talvolta, attraverso ragionamenti personalizzati. La smania di chi vuole riprendersi in fretta, ben sapendo che invece va fatto altro, semmai va data velocità all’azione, al giro palla per spostare l’avversario e creare gli angoli di passaggio. In teoria, ciò che da un anno è scritto (e dimostrato) in campo: palleggiare e però in scioltezza e anche cambiando il fronte del gioco, portare fuori gli avversari e allargarli, poi cercarsi e trovarsi anche nello stretto, un po’ come accaduto in avvio di gara, quando la nebbia non era ancora calata «nel» Napoli.
CORAGGIO. I presupposti per disquisire, tranquillamente, appartengono alla cultura distensiva di Benitez, ignifugo alle situazioni roventi, capace di districarsi nelle fiamme della ostilità di Chelsea e amareggiato per l’esito della partita, per alcuni tratti di quell’ora e mezza, non dall’atteggiamento iniziale, né dalla capacità di crear calcio per quarantacinque minuti. «Ma adesso dobbiamo reagire». Un colpo di spugna: Bilbao, addio.
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