Una convinzione. Forse una filosofia. Di sicuro anche una sfida. Sì, una sfida con se stesso e soprattutto con tutti quelli – e non sono pochi – che non si fidano delle rivoluzioni programmate. Lo chiama turn over, il signor Benitez, ma in realtà quando rispetto alla partita precedente i cambi sono otto – ed era stato così pure all’andata – si può chiamare anche in altro modo. Sconvolgimento. Anzi: scompiglio. Sì, scompiglio di nomi e geometrie. Di abitudini e giocate. Per farla breve: tutt’altra squadra e tutt’altra roba porta in campo il Napoli rispetto alla partita con la Roma. Logico. Ovvio. Nonostante le tante occasioni del secondo tempo, nonostante la voglia di Insigne (a proposito: ragazzo, via quel barbone che ti fa vecchio e triste e forse manco ti porta bene) di brindare al rinnovo con un gol, il NapoliDue non è, non può essere il NapoliUno. Ma, buon per lui, gli bastano un gol di poppa e poi due di bolina di De Guzman, bomber di nottata, per mettere sotto senza fretta e con pochi sentimenti ed emozioni i giovanotti svizzeri, nelle convinzioni e nell’entusiasmo in verità assai più modesti di quelli dell’andata. Eppure, misteri del turn over, i loro cambi s’erano fermati “solo” a tre!
Questione di qualità, ovvio. Così la racconterebbe il conto dei “valori” in campo. Valori di mercato, visto che il Napoli, in avvio, porta comunque in campo una formazione da 90 milioni di euro a fronte degli 11 milioni che vale quella dall’altra parte.
Chiacchiere, comunque. Perché se nello scirocco potente della notte azzurra nessuno s’aspettava di spellarsi le mani così com’era accaduto con la Roma, è vero pure che c’era una sola cosa che per il Napoli contava: vincere. Mettere altri tre punti in tasca per vedersela poi tra tre settimane con lo Sparta di Praga per il primo posto nel girone. E il Napoli ha vinto. Con merito. E dando ragione al suo profeta mister B., il quale alla vigilia aveva letto giusto nel futuro. «Cambio e vinco», aveva detto. Così è stato. Così ha fatto, spalancando le porte dell’Europa alle seconde linee, ma con in testa pure la trasferta di Firenze.
Già, perché se la coppa è la coppa (e vincerla vuol dire partecipare di diritto alla prossima Champions), pure se in casa azzurra non si dice, il campionato è un’altra cosa. E dopo il successo sulla Roma, dopo “quel” successo, “quella” partita, “quel” gioco, “quella” passione, il Napoli sa che se vuole non è secondo a nessun’altra squadra. Volerlo, ecco il problema. Ecco la vera, grande sfida: confermare quel tanto, tantissimo di buono mostrato contro i giallorossi di Garcia. A cominciare da quella sua anima italiana e contropiedista che va curata ed esaltata. Altro che passaggi e passaggetti laterali. Altro che inutile possesso del pallone. Infatti, guarda caso, nella sua domenica più bella, il Napoli s’è fermato al 40 e 3. Che cosa vuol dire tutto questo? Forse vuol solo dire che per pensare in grande forse occorre soltanto un NapoliUno meno spagnolo e un Benitez un poco più italiano.
Fonte: Corriere dello Sport
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro