MILANO – C’è una partita che comincia al terzo minuto e si sviluppa ad oltranza, che procede a vampate, che infiamma e che spinge all’entusiasmo o alla malinconia (dipende dai punti di vista). Poi ci sono quelli che entrano in un corpo a corpo e se le scambiano di santa ragione (ma agonisticamente), ognuno per quel che può e per quel che deve. Quando Milan-Napoli non è ancora entrata nel vivo, con furie azzurre scatenate in ogni dove, Vali Behrami mostra l’altra faccia di sé e si morde le dita delle mani perché quel pallone lì andrebbe spedito in porta, un tocco lieve e via verso i propi tifosi. Ma gli indomabili hanno un cuore e non necessariamente devono avere pure sensibilità nei momenti che contano, perché da quel momento in poi è un continuo rincorrere. «Il primo tempo il Milan ci ha pressato molto, siamo stati bravi a segnare ed a contenere i loro attacchi. C’è una nuova mentalità, ci aiutiamo tutti. Non dobbiamo pensare ora di essere bravi, abbiamo tanto da lavorare. Mi fa molto piacere per la città questa vittoria, è un pubblico da brividi. La vittoria col Borussia ha inciso molto, abbiamo mostrato di essere gruppo e un grandissimo carattere».
LA PREMESSA – Ricapitolando: c’è un uomo solo al comando delle accelerazioni e la sua maglia è azzurra e la sua chioma è bionda o magari dorata, però ha millepiedi, va su Muntari e su chiunque porti palla, va su e giù come un matto, non tira mai indietro la gamba, non indietreggia, cerca lo spazio e la gloria che si è negato. Behrami Valon, proprio lui: il diavolo fatto in persona, un contachilometri che salta subito, perché lui macina il doppio o forse il triplo di chiunque altro. Maratoneta però con giudizio, avendo al fianco il connazionale Dzemaili, che a san Siro entra in punta di piedi e così procede: «Abbiamo giocato molto bene, questo è il Napoli che conosciamo e così dobbiamo continuare».
CHE STORIA – Blerim Dzemaili, eh già: che nove mesi fa, all’ultima giornata del mercato invernale, era ormai del Milan, scambio alla pari con Nocerino. Ma ci fu una lunga riflessione, anche sua, e ci fu Bigon che andò in pressing per convincerlo a resistere alle panchine e starsene buono, che sarebbe venuto pure il suo momento: sette reti, la qualificazione in Champions, ora un ruolo da titolare in quello stadio che poteva essere suo e forse lo sarebbe stato, se non si fosse messo a meditare e a chiacchiera con il diesse.
IL ROSSONERO (NASCOSTO) – Le statistiche, nel loro piccolo, sanno persino avere un’anima e rileggendo il recentissimo passato, in quelle cinque partite ufficiali, prima di presentarsi al Milan, l’unico ad aver battuto Reina era stato Alberto Paloschi, un piccolo diavolo momentaneamente in trasferta, doppiettista a Verona con il Chievo: poi, nient’altro, i nemici erano stati fagocitati, perché nella terza rete subita (quella con il Borussia Dortmund) aveva provveduto Zuniga. Stavolta serve alzare la diga, per contenere la sfuriata rossonera, e Behrami e Dzemaili si fanno in tre e anche in quattro, raddoppiano su chiunque e poi giocano nell’ombra, governano, lasciano poco spazio, conferiscono certezze. «E’ così che dobbiamo giocare».
PAURA – Ma i fantasmi esistono e a volte potrebbero non bastare due reti per riuscire a tornarsene a casa felici e contenti: c’è furore e tensione, c’è competizione e in quell’appezzamento ci sono due svizzeri che s’industriano per riuscire ad abbattere un tabù vecchio di ventisette anni. Poi ci sono altre partite.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
L.D.M.
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