OPORTO – Un gol: la distanza tra i quarti d’Europa League, dunque la gloria, è un dettaglio, uno sbuffo d’aria, un capolavoro o persino un rimpallo; però si può fare e il Napoli che torna da Oporto saprà di doverci provare rivestendo se stesso, quindi osando. E’ Porto 1, Napoli 0, è la storia d’un corpo a corpo che si sviluppa attraverso due identità diverse: e però i margini e le possibilità esistono, perché la differenza è un battito di ciglia, un allungo, una percussione, comunque una nuova versione di se stesso.
RISCHIOOO – La strategia è palpabile, visibile ad occhio nudo, e sa di scelta di vita (stavolta): fuori in cinque rispetto alla Roma (e pensando al Torino, al secondo posto, alla Champions diretta) e dentro un «altro» Napoli, rimodellato persino nell’anima, capace di starsene – ma chi l’avrebbe detto? – in otto al di qua della linea del pallone e consegnando match e responsabilità al Porto. Le conseguenze sono scritte nell’aria d’un «do Dragao» (da portare come modello di architettura) ch’è biancoblù: il campo è del Porto, la vastità è del Porto, il possesso è del Porto, la partita è del Porto, la copertina è – tanto per gradire – di Pepe Reina, l’anti-Porto, che va da dove lo porta il fisico e una esplosività da brividi sul colpo di testa (12′) d’uno Jackson Martinez dallo stacco imperioso. Il prevedibile copione non induce alle emozioni e il fraseggio su ritmi umanissimi consente al Napoli di starsene buono, in attesa che maturino gli eventi, che s’apra un varco, che il «nemico» si sbilanci: però, tra le pieghe d’una lettura scontata, c’è l’imponderabile d’un giro palla apparentemente anonimo, sublimato dalla parabola velenosa di Jackson Martinez, dalla «spizzata» di Varela, dal tap in di Carlos Eduardo per l’1-0 «cancellato» dall’intervento (inopportuno ma salvifico) di uno degli addizionali.
REAZIONE -Ma lasciarsi scivolare novanta minuti d’ozio sulle spalle è esercizio stancante e il Napoli qualcosa ha dentro: ad esempio, la brillantezza d’un Callejon (26′) che si scuote, danza tra le linee, indugia e chiama Reveillere alla percussione. Palla nel «buco», cross del francese e nessuno a rimorchio: però, almeno, il tentativo è fatto e quel «poverino» di Higuain, sconsolato nel vuoto che gli sta intorno, può pensare che arrivi altro ancora. Succede: ancora da Callejon (32′), ma son centimetri che spostano la possibilità. E poi ci pensa Reina, eh sì, il piede più pulito, che lancia Callejon (36′) con precisione millimetrica a sessanta metri e s’accorge della impreparazione dell’«amigo» nel controllo.
BRACCIO DI FERRO -Mancano gli spinaci, altrimenti sarebbe scenetta autentica da fumetto in qualsiasi zolla del campo: Hamsik sta su Fernando, Henrique «passeggia» e faticosamente contiene Carlos Eduardo, Behrami si «prende» con Defour e il resto è uomini nelle zone sugli esterni e Porto-Napoli è rinnovata. Il meglio sta per venire e ce n’è da qualsiasi parte s’osservi il match: quell’uomo che vola all’incorcio (2′) sulla martellata di Fernando dai venticinque metri è un ragazzino di 32 anni che non finisce mai di stupire. Però il Napoli è vivo ed ha deciso di mostrarlo in tre minuti nei quali viene fuori la versione offensiva d’una squadra che quando punta e parte sa di poter far male: e però, in quei centottanta secondi è racchiuso pure il (legittimo) destino della serata, ch’è del Porto. Lo si intuisce sul destro di Higuain (8′) fortunosamente respinto da Helton e chissà in che modo carambolato in angolo; se ne ha conferma (9′) stavolta sul prodigioso Helton, che strozza l’urlo per il pari ad Albiol; e si deduce che così deve finire sulla percussione Hamsik-Callejon-Higuain, rimpallata con l’aiuto dei protettori. La svolta è nei fatti e al Porto, un paio di giretto di lancette, può goderne: palla dal corner, il mischione di sempre, il rilancio blando di Ghoulan e la girata d’un Jackson Martinez che vale l’1-0.
FINALONE – Prò c’è da rimanere incollati alla partita, il Porto lo fa (ovviamente) coprendosi e il Napoli attaccando ma con giudizio e comunque concedendo il batticuore (36′) su un pallone impazzito: l’area diviene un flipper, la sfiorano o la toccano in tanti e Quintero – ancora fresco d’ingresso – la vede morire sul palo. E’ una sensazione di smarrimento, che prova (e due volte) pure Zapata – appena subentrato a Higuain: la (prima) traiettoria sporca gli finisce addosso e la girata, un po’ naif (37′) , s’imbatte in Maicon sulla linea; la (seconda) chances, ed è quella che darebbe un senso, chiede un tap in sul cross di Pandev però rimedia una svirgolata come quell’1-0. Che non è una sentenza: si può fare, un gol è semplicemente un gol…
Fonte: Corriere dello Sport
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