Italia-Germania 4-3, basta dirlo. Persino loro, i tedeschi che vennero sconfitti, la chiamano «partita del secolo», anzi Jahrhundertspiel, con il kaiser Beckenbauer in giro per il campo con la spalla fasciata. Mercoledì 17 giugno 1970, Città del Messico, stadio Azteca (dove una targa ancora ricorda l’epica sfida): Italia e Germania Ovest si giocano l’accesso alla finale della Coppa Rimet.
Sandro Mazzola, la gara dell’Azteca fermò il mondo.
«Faceva un caldo terribile, ci facevano giocare a mezzogiorno e i messicani erano improvvisamente diventati tifosi dei tedeschi dopo che nei quarti avevamo eliminato il Messico per 4-1. Contro avevamo una Germania che metteva i brividi, la Germania di Maier e Schnellinger, di Vogts e Beckenbauer, Muller e Seeler. Ma noi non scherzavamo: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Riva Boninsegna».
Esce Mazzola, entra Rivera: quel giorno la staffetta ha fatto storia?
«Ma doveva uscire Boninsegna, non io. Solo che avevo passato tutta la notte sul water per colpa della maledizione di Montezuma e il mister fece uscire me. Mi infuriai, lanciai gli scarpini, Bearzot mi rincorse per calmarmi».
L’epopea vi aspetterà nei supplementari.
«Avevamo segnato subito con Boninsegna e si resta sull’1-0 fino al 90’: l’arbitro sta per fischiare, quando Schnellinger inventa l’1-1. Giocava nel Milan, gli urlammo contro qualsiasi genere di insulto, poverino. I supplementari, poi, sono roba per cuori fortissimi con Rivera che di piatto segna il 4-3 al 111’».
Un minuto prima Muller colpisce e Rivera sul palo liscia: 3-3, con Albertosi che tenta di strangolarlo?
«Ricordo la determinazione di quella squadra: presero palla e subito Boninsegna si gettò in avanti alla ricerca del gol del successo. Quello era il gruppo del ’68, una squadra di ragazzi eccezionali».
Fece festa anche se aveva segnato Rivera?
«Certo che esultai pure io, una gioia immensa. La rivalità tra me e Gianni mica si spingeva a sperare che non segnasse? Non capimmo subito che avevamo fatto la storia, erano tutti stanchi morti, c’era persino chi faceva la pipì col sangue. Uno sforzo inumano. Che pagammo contro Pelè: perdemmo la finale col Brasile perché per recuperare forze a 2.700 metri di altezza ci vogliono settimane».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
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