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Balotelli e il razzismo: “Fossi stato bianco avrei avuto meno problemi. Uno schifo, quante me ne hanno dette…”

L'attaccante racconta in un libro la sua vita in balia al razzismo

“Di certo, fossi stato bianco avrei avuto meno problemi.” Mario Balotelli avrebbe evitato volentieri, ma oggi è ragionevole il sospetto che anche «quei» problemi l’abbiano reso migliore. Non un calciatore più forte: un uomo più forte. Che poi è quello che ha fatto la differenza, oggi che è tornato un punto di riferimento per la Nazionale. Oggi che ha capito quanto certi errori del passato siano stati più gravi, visto che veniva e viene preso a modello non solo per quanto fa su un campo di calcio: «Ricevo tante lettere di ragazzini che mi considerano un esempio per non aver mai abbassato la testa davanti agli episodi di razzismo». Leggere le pagine di «Demoni» aiuta a capire quanta sofferenza ci sia stata nascosta, prima (e dietro) della gioia di aver indossato la maglia azzurra. E di essere tornato a farlo.
Mario racconta a modo suo, senza giri di parole («È stato uno schifo»), la lunga attesa necessaria per non essere più (solo) un nero italiano, ma anche un cittadino italiano nero e poi azzurro. «Diciotto anni di porte sbattute in faccia, per avere la cittadinanza. Poi le porte si sono spalancate. Io ero lo stesso di prima». Eppure il lungo elenco che Balotelli fa delle ferite che si porta addosso comprende anche un episodio accaduto quando era in Nazionale. Anzi due. Tre se ci mettiamo lo striscione («Il mio capitano è di sangue italiano») fatto rimuovere l’altra sera a San Gallo. E chissà quanti non ne conosciamo. Ma tutto è iniziato molto prima, Mario era un bambino che aveva ancora bisogno di piangere sulla spalla della mamma: «A scuola capitava che sparisse qualche merendina dai banchi… Pensavano subito fossi stato io, senza indagare… Ma c’è un episodio che non dimenticherò mai: le lacrime non smettevano più di scendere. Avevo fatto tutti i compiti a casa… Sapevo che la mamma mi avrebbe poi permesso di uscire per andare a giocare a calcio… “Ciao ragazzi, giochiamo?”. “No, Mario: tu no”. “Ma ho fatto i compiti…”. “No, Mario: sei nero”. Ero nero, quindi ai loro occhi diverso… Credevo non mi volessero perché già allora ero esuberante. Poi purtroppo con il passare degli anni ho scoperto la verità».
Con il passare degli anni riuscì anche a realizzare il sogno di giocare in Serie A e con la maglia azzurra. Ma nel 2009, per due volte nel giro di neanche tre mesi, Balotelli si sarebbe accorto che non c’è traguardo che possa cancellare l’ignoranza. Ad aprile «Il passaggio all’età adulta da questo punto di vista. Durante Juventus-Inter me ne hanno dette di tutti i colori, “Scimmia”. “Negro”. “Torna in Africa”. I buu… Moratti dichiarò che per la rabbia avrebbe ritirato la squadra dal campionato…».
E poi a giugno: esterno di un bar di Roma, zona Ponte Milvio, a un tavolino l’Under 21 quasi al completo. «Mentre stavamo chiacchierando, da lontano spunta una moto e uno dei due urla forte: “Negro!”. “Negro schifoso!”. “Negro di merda!”. Poi si avvicinano, rallentano e mi lanciano un casco di banane. Come se fossi una scimmia. Hanno anche sbagliato mira, colpendo la cameriera del bar al posto mio».
L’amarezza di allora si moltiplicò un giorno a Coverciano: dalla strada gli urlarono «Non esistono negri italiani!» mentre si allenava con i compagni. E non è diminuita oggi, a leggerlo in «Demoni». «Non sono sicuro che l’atteggiamento della gente sia migliorato. Ci sono molte più persone di colore e quindi, anche se si tenta di accoglierle e di accettarle tutte, non credo si riesca fino in fondo a farlo». Però in Balotelli è cambiata la consapevolezza, forse anche la lucidità nel leggere certe pagine della sua vita: «Il Medioevo è finito, è ora che se ne accorgano tutti… Il cambiamento è in mano alle nuove generazioni; ai nostri figli bisogna insegnare che siamo tutti uguali… Dovrebbe essere scontato, quasi banale, ma non lo è. Poi i miei figli Pia e Lion lo racconteranno ai miei nipoti, e allora le future generazioni saranno più a posto di noi, questo sì. Ma di certo, fossi stato bianco, avrei avuto meno problemi».
Fonte: Gazzetta dello Sport
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