Quale decisione adotterà la Commissione Disciplinare Nazionale della Federcalcio? E soprattutto come finirà? È quello che si chiedono tutti i tifosi del Napoli e, più in generale, gli sportivi dopo aver appreso le richieste del Procuratore Federale Stefano Palazzi. Certo, a prima vista, l’ipotesi che al Napoli possa essere inflitta la sanzione di un punto di penalizzazione e ben 100mila euro di multa e, soprattutto, che Paolo Cannavaro e Gianluca Grava possano essere squalificati per 9 mesi può lasciare perplessi. Tuttavia, nonostante la severità delle richieste, potrebbe essere lecito sperare che se non nell’immediato al termine dei diversi gradi di giudizio le sanzioni inflitte saranno ben diverse da quelle auspicate dalla Procura Federale. In questo caso, infatti, sembra che possa pervenirsi ad una applicazione del principio della “responsabilità oggettiva” con ragionevolezza, sia con riferimento al club partenopeo sia in relazione ai due calciatori azzurri. Non vi è dubbio che nel caso specifico il Napoli sarebbe stato addirittura danneg giato dall’eventuale (e non consumato) illecito sportivo, che prevedeva la vittoria della Sampdoria in danno della squadra azzurra. È innegabile, allora, che in termini di graduazione delle sanzioni, gli organi disciplinari della Figc non potranno non tener conto di quanto la società doveva fare (ed ha fatto) per evitare che Gianello si comportasse in maniera da violare il Codice di giustizia sportiva. Ma anche e soprattutto non si potrà fare a meno di considerare che lo stesso Gianello ha agito non solo al di fuori dei compiti che avrebbe dovuto normalmente svolgere secondo il contratto di lavoro che lo legava alla società azzurra ma, addirittura, contro l’interesse del Napoli. A ben vedere, infatti, quello dei compiti e dell’interesse del soggetto che ha posto in essere il comportamento che può far configurare la responsabilità oggettiva del datore di lavoro è un criterio di valutazione che si rinviene anche nell’ordinamento dello Stato. Ad esempio, proprio di recente, in un caso di comportamenti posti in essere da un dipendente di una banca, i giudici della Corte di Cassazione hanno escluso la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui “non vi sia la prova del legame tra l’atto produttivo del danno e lo scopo in vista del cui raggiungimento siano state affidate al dipendente le mansioni in occasione delle quali l’illecito è stato compiuto” (Corte di Cassazione sentenza n. 789 del 20 gennaio 2012). Appare incontestabile, allora, che per quanto riguarda il Calcio Napoli difficilmente potrà sostenersi che tra le “mansioni” affidate al dipendente Gianello, ossia quelle di (terzo) portiere della squadra, potesse rinvenirsi anche lo “scopo” di scommettere o, peggio, di accordarsi perché il risultato di una partita venisse addirittura alterato in danno della stessa società! Ma anche per quanto riguarda la “vigilanza” sui comportamenti del dipendente da parte del datore di lavoro, sempre per rimanere nell’ambito dell’ordinamento dello Stato, va ricordato come con altra recentissima decisione la stessa Corte di Cassazione ha chiarito come, per individuarsi una qualche responsabilità oggettiva “il comportamento dell’addetto si deve svolgere all’interno della sfera di sorveglianza del datore di lavoro e in occasione dello svolgimento dei compiti a lui assegnati” (Corte di Cassazione sentenza n.10421 del 22 giugno 2012). Laddove non bastassero i richiami ai giudici ordinari, deve evidenziarsi come qualche timido segnale circa l’applicazione dell’invocato criterio di ragionevolezza, con conseguente graduazione delle sanzioni, deve segnalarsi anche in relazione a recenti decisioni degli organi di Giustizia sportiva. A proposito del ricorso del Novara Calcio avverso la sanzione della penalizzazione di 2 punti inflitta dalla Commissione Disciplinare Nazionale in relazione al comportamento di alcuni tesserati, la Corte di Giustizia Federale della Figc, riducendo ad un solo punto la sanzione (il che, fatte le debite proporzioni, lascerebbe ben sperare circa la sanzione da infliggere al Napoli) ha affermato che l’organo giudicante non deve trasporre automaticamente nei confronti della società oggettivamente responsabile il giudizio di disvalore effettuato nei confronti del tesserato, eleggendo le società stesse a ruolo di meri garanti e responsabili indiretti dell’operato dei propri tesserati. E questo “soprattutto in fattispecie dove va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità dell’accaduto, non essendo in alcun modo materialmente riferibile alla stessa Società il fatto imputato, ed in cui anzi la Società di appartenenza oltre a non conseguire alcun vantaggio è risultata in definitiva danneggiata, sotto molteplici profili, dalla condotta perpetrata dal proprio tesserato” (Comunicato Ufficiale n. 68 del 19 ottobre 2012). Quanto ai due calciatori, Cannavaro e Grava, senza andare molto indietro nel tempo, appare opportuno richiamare quanto ha affermato il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport che, a proposito della sanzione da infliggere ad Antonio Conte, ha ritenuto “eccessiva” quella decisa dagli organi di giustizia della Figc a fronte delle violazioni addebitate all’allenatore della Juventus. Tenuto conto che proprio di “omessa denuncia” si trattava, se solo si volesse invocare il costituzionale principio di parità di trattamento, per i due calciatori azzurri, nella malaugurata ipotesi di una loro responsabilità, una sanzione che dovesse superare i 3 o 4 mesi appare priva di giustificazioni.
Fonte: Il Roma
La Redazione
M.V.
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