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Avellino prepara la grande festa per la serie B

Dopo aver giocato perfino tra i Dilettanti lo storico club irpino è vicino al salto dalla Prima divisione: basta un punto nella gara a Catanzaro

Si lascerà andare solo quando la promozione sarà matematica. Prima di allora non vuole applausi e i sorrisi sono contenuti. Eppure l’abbraccio al suo secondo Rossi, al presidente Walter Taccone e ai suoi ragazzi domenica, dopo il 4-0 all’Andria, è stato più intenso e lungo del solito. Massimo Rastelli è uno degli artefici del miracolo Avellino in serie B. Perché di miracolo (manca ancora un punto) si tratta. I lupi non erano tra i favoriti ad inizio stagione, hanno continuano a non esserlo anche dal 10 marzo, quando, grazie all’1-0 sul Viareggio, hanno superato il Latina acciuffando la vetta. Che non hanno mai lasciato nelle sei partite successive.
In campo Castaldo e soci sono stati i più continui, equilibrati, costanti nel rendimento e nei numeri. Diciassette vittorie, cinque sconfitte, migliore attacco e migliore difesa e solo un ko al «Partenio-Lombardi» contro il Benevento. Ma c’è una cosa su cui, più di tutte, ha lavorato Rastelli. L’orgoglio di indossare una maglia dimenticata e da molti bistrattata dopo il fallimento di Pugliese, la voglia di sentirsi lupi (da calciatori e tifosi), la volontà di far capire ai suoi uomini che vincere ad Avellino ha un sapore diverso. «L’ho spiegato ai ragazzi sin dal primo giorno di ritiro – sottolinea il tecnico – a Sturno, quando all’allenamento arrivarono cinquemila tifosi a sostenerci. Giocare ad Avellino e cercare di vincere non è facile, ma quando succede non solo è emozionante, ma formativo, importante. Ti senti calciatore e uomo vero». Il gruppo lo ha seguito. Dal primo all’ultimo. Ed ognuno ha avuto il suo momento, un’opportunità di mettersi in mostra, una possibilità di lasciare il segno. Tra i pali Di Masi e Fumagalli hanno regalato sicurezza ed esperienza, in difesa la crescita di Zappacosta (il digì Marino l’anno prossimo lo vuole all’Atalanta), e di Izzo, diventato un pilastro, sono state incredibili. E poi l’esperienza di Fabbro, Giosa e Pezzella, senza dimenticare Bianco e Bittante. A centrocampo la musica non è cambiata con D’Angelo che, unico superstite della serie D, ha raggiunto un sogno. Arini, arrivato a gennaio, è diventato titolare inamovibile e poi poi la maestria e il talento di Millesi, la tecnica di Massimo e Catania, la freschezza di Panatti. In attacco la coppia Castaldo-Biancolino per la quale non c’è bisogno di presentazioni, ha fatto il resto, come de Angelis e Zigoni, undici gol in due, che tutto sono tranne che riserve.
C’è l’entusiasmo di una città che si risveglia dopo un fallimento, una serie D e due ripescaggi che non sono stati mai digeriti. Perché ad Avellino il pubblico è abituato a vincere sul campo, a lottare, a soffrire e a gioire come contro l’Andria, con diecimila persone sugli spalti, e come succederà domenica a Catanzaro quando è pronta una nuova invasione. Allora, come nella prima trasferta tra i dilettanti, a Lamezia contro il Sambiase, sarà il tifoso storico Franco Iannuzzi a guidare la carica dei cinquemila. Lui che a questo miracolo ha sempre creduto. «Ce lo meritiamo dopo l’inferno di questi ultimi campionati. Ce lo meritiamo perché abbiamo dimostrato, finalmente sul terreno di gioco, di essere i più forti». E come lui anche il presidente Walter Taccone è stato sempre un inguaribile ottimista. «Questa promozione è il frutto di un lavoro partito diverso tempo fa. Se siamo riusciti a arrivare fin qui è merito di tutti: di mio figlio Massimiliano e di Enzo De Vito, mio e del socio Iacovacci, della squadra, di Rastelli su cui ho sempre creduto e del pubblico, tornato quello meraviglioso del passato. Ora aspettiamo la matematica e ci godiamo questi momenti, subito dopo costruiremo il futuro».

Fonte: Il Mattino

La Redazione

M.V.

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