Razzismo. «Ideologia che, fondata su un’arbitraria distinzione dell’uomo in razze, giustifica la supremazia di un’etnia sulle altre e intende realizzarla attraverso politiche o atteggiamenti discriminatori e persecutori». Se questo è il significato del termine, i cori intonati sabato sera allo Juventus Stadium, gli striscioni e le buste di immondizia mostrati ai tifosi del Napoli, configurano un atteggiamento razzista oppure no? «Il comportamento dei tifosi della Juventus è stato al limite di un atteggiamento razzista e discriminatorio, ma il giudice ha qualificato detto atteggiamento solo insultante», la lettura del provvedimento emesso dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel, è stato già verbalmente rigettato dall’avvocato Mattia Grassani, quanto da tutti quelli che hanno seguito la sfida, in tv oppure allo stadio. Domanda: possibile che se ne siano accorti tutti di cori e di striscioni, tranne i commissari federali presenti sul campo di gioco? Se il giudice sportivo decide in base al referto che gli arriva sul tavolo, allora non c’è altra spiegazione. Chi doveva ascoltare, chi doveva sentire, non ha visto e nemmeno udito. Altrimenti, non c’è motivo per cui il giudice Tosel, che cinque anni fa aveva già preso un provvedimento del genere, dovesse macchiarsi di denegata giustizia. Proprio lui, l’immarcescibile dottor Tosel aveva condannato l’Inter a 30mila euro di multa ed a giocare una partita di campionato con il secondo anello della Nord vuoto. Lì dove erano stati esposti striscioni anti-Napoli dal chiaro contenuto razzista e intonato cori di analogo tenore spregiativo, tra cui «Napoli fogna d’Italia» e «Ciao colerosi». Il giudice Tosel aveva deciso in base alla norma collegata all’articolo 18 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva, dove vengono elencate le sanzioni applicabili alle società, per responsabilità oggettiva, in merito a comportamenti dei propri tifosi che rechino «offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori». Tra le conseguenze previste, anche l’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori. Di fronte ad un caso così clamoroso di ingiustizia palese, non sarà reato porsi due interrogativi. 1) E’ mai possibile che nel 2012, nell’era dell’informazione allargata e multimediale, un giudice sportivo debba decidere sulla base di un referto che, come nel caso di Juventus-Napoli, è parziale o fuoriviante? Quando Aurelio De Laurentiis lamenta l’anzianità del mondo del calcio, non ha torto e questo è uno dei tanti casi di arretratezza del sistema da lui più volte denunciati. 2) Ma perché i commissari hanno sottovalutato la portata delle offese verbali e scritte apparse a Torino, degradandole da “razziste” ad “insultanti”? A pensar male difficilmente si sbaglia ed è umano malpensare che un referto caratterizzato dall’aggravante del razzismo venisse, poi, valutato dal giudice Tosel con l’adeguata ammenda: chiusura dello stadio ai tifosi, totale o parziale, giacchè l’atteggiamento dei tifosi era stato già più volte reiterato. Troppi dubbi, troppi sospetti alimentati da una giustizia sportiva che non corrisponde, né difende le esigenze di tutti i club ed ormai superata rispetto alle risorse che produce l’azienda calcio. Il razzismo è soltanto una degenerazione ulteriore di questo sistema costretto a chiudere occhi ed orecchie per difendere gli interessi di tutti, tranne di chi alimenta la grande giostra: i tifosi.
Fonte: Raffaele Auriemma per il Corriere del Mezzogiorno
La Redazione
L.D.M.
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