Continuano le discussioni sulla ripresa del campionato. Il CTS (Comitato Tecnico Scientifico) ha dato il via libera alla ripresa degli allenamenti di gruppo a partire dal 18 maggio, purché si rispetti lo stringente protocollo di sicurezza per limitare i rischi.
Le norme da seguire sono rigorose, tanto che l’Associazione Italiana Calciatori, dopo aver riunito i rappresentanti delle squadre di Serie A, ha esposto alcuni dubbi in merito con un comunicato ufficiale.
Anche l’A.I.A.C.S – ovvero l’Assoagenti – ha espresso la propria opinione con un comunicato ufficiale: “A distanza di oltre sessanta giorni dalla interruzione dell’attività agonistica siamo ancora nel mezzo di una discussione sulla possibilità o meno di riprendere la stagione e sulle eventuali modalità di ripresa. Il calcio patisce alcune storture del sistema Paese, la burocrazia eccessiva travolge una attività imprenditoriale che, come confermato dal Ministro dello Sport, contribuisce fiscalmente per oltre un miliardo di euro, solo nel 2018 circa 1.7 miliardi”.
Un punto su cui ci sono molti dubbi è quello riguardante la responsabilità penale attribuita ai medici sportivi in caso di contagio o morte: “Una condizione assolutamente incomprensibile – ha sottolineato anche l’Assoagenti – se vi sarà un protocollo sanitario rispettato nei minimi termini, non si comprende come possa attribuirsi una responsabilità, addirittura penale, ad un datore di lavoro ovvero ad un medico sportivo, nel caso del calcio”
Altro punto molto discusso è la quarantena obbligatoria per tutto il gruppo qualora dovesse registrarsi un caso di positività: “I protocolli sanitari applicati alle aziende non obbligano alla chiusura di un ramo dell’impresa ovvero all’intera impresa in caso di contagio di un dipendente – si legge – nel calcio, al contrario, in caso di contagio si obbligano le squadre ad una quarantena di quindici giorni. In questo scenario i calciatori, veri ed imprescindibili attori del mondo calcio, sono confusi da tanta discussione ma consapevoli che la soluzione migliore sia la ripresa del campionato una volta assicurata la tutela sanitaria di tutte le componenti del club. Quest’ultimo aspetto è stato abbondantemente discusso e risolto definendo un modus operandi che soddisfa i calciatori e l’intero team. Quello che blocca tutt’oggi la ripresa, si ribadisce, non è pertanto una carenza di garanzia sanitaria bensì una questione solo burocratica come in precedenza descritto. Anche la discussione afferente l’eventuale obbligatorietà del ritiro lungo appare, alla luce della situazione emergenziale, inutile e fuorviante. Purtroppo il rischio di contagio non potrà essere annullato del tutto finchè non vi saranno rimedi farmaceutici e vaccini ma il protocollo sanitario destinato al calcio ha trovato concordi tutte le componenti consentendo la ripresa dell’attività. L’ipotesi del ritiro è paventato ad ulteriore tutela sanitaria del calciatore al fine, nel breve periodo di un mese e mezzo, di concludere il campionato. Gli atleti, del resto, sono da sempre avvezzi a ritiri lunghi come avviene nel precampionato.
Infine l’appello ai calciatori: “Riprendendo l’attività ed il campionato non aiuteranno solo loro stessi e la loro categoria, infatti, devono essere ben consapevoli che, da attori principali del sistema calcio, la propria volontà a ricominciare consentirebbe all’intero sistema quella ripresa che garantirebbe, altresì, le migliaia di famiglie dei dipendenti e collaboratori, non solo calciatori, che vivono lavorando nel calcio e nel suo indotto e che oggi vivono sospesi. In tale ottica ogni sacrificio sarebbe giustificato”.
Fonte: Gianlucadimarzio.com
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