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Assist, gol e umiltà, ecco la ricetta di Jorginho per incantare Napoli. E lui: “Posso ancora migliorare”

Gol, incontro, finale. Tutto in una notte magica e anche memorabile. E poi applausi, tanti, in passerella. Quando mancavano poco più di cinque minuti (ormai ininfluenti) e la sua uscita andava a coincidere con l’esordio di Henrique. Sigillo alla semifinale, con triplice mandata e i Lupi sedati, disorientati dal tambureggiante Napoli. Merito anche, e in larga misura, di Jorge Luiz Frello Filho, in arte Jorginho. Lui è arrivato meno di un mese fa e ci ha messo davvero poco per conquistare tutti. Dal tecnico (che lo aveva visto all’opera contro gli azzurri dando prontamente il placet per l’acquisto) ai tifosi, agli stessi compagni. Che lo cercano spesso e con intensità crescente. Ne hanno apprezzato subito la disponibilità, unita alla modestia di chi ha fatto il salto di qualità anche per apprendere, unita alla velocità di pensiero e limpidezza di azione.

VISIONE – Non c’è dubbio: il centrocampo alla maniera di Rafa così quadra molto meglio, l’equilibrio non pare più affidato ai capricci del caso, ma al sostanziale contributo di un ragazzo che ha voti altissimi in geometria. Che studia da ingegnere ma anche da risolutore. Perché quel terzo definitivo sigillo che ha definitivamente sgonfiato i giallorossi, è anche frutto di una visione che si spinge ben al di là, fino alla porta avversaria. Senza peraltro perdere in lucidità. Vederlo e rivederlo più volte, non ci si stanca mai. Al minuto cinquana serpentina improvvisa di Mertens, taglio perfetto con Jorginho dentro, a scavalcare De Sanctis col colpettino sotto, appena accennato ma molto velenoso. Il tutto coi tempi calcolati al millesimo.

CRUCCIO – Piuttosto, il suo cruccio è stato quello di aver sbagliato qualcosa in fase di impostazione. «Mi spiace di aver fallito qualche appoggio banale» andava ripetendo, lui che proprio di banalità non ha lasciato alcuna traccia. Sinceramente rammaricato subito dopo il match, durante il susseguirsi di microfoni e taccuini, quasi a voler sminuire tutto il resto, che non è stato poi assolutamente noia. Anzi. Limpidezza anche nei tratti di quel volto pulito, un po’ d’altri tempi, limpidezza in quei pensieri che scattano anche fuori dal campo. Se da un lato Jorge pare quasi incredulo di indossare la casacca azzurra, dall’altro invece riesce a portarla con estrema naturalezza e profitto. Un’amabile contraddizione in termini. «Abbiamo fatto bene, ma non possiamo rilassarci, dobbiamo migliorare», ancora propositi ben delineati, in perfetta sintonia col tecnico.

RISULTATI – Immediati, nemmeno qui senza ombra di dubbio. Quattrocentodieci minuti distribuiti in sei incontri (tre di campionato e altrettanti di Coppa Italia) e presto il gol, dopo il palo contro la Lazio. E che quei piedi di velluto fossero pure parecchio ispirati lo si è capito quasi da subito. Bologna-Napoli in tribuna per fotografare l’assieme, e poi subito in mischia per volere di Rafa, prima con un paio di spezzoni e poi a tempo indeterminato con Inler al fianco. E la coppia funziona. Va che è una bellezza e più scorrono i minuti in campo, più l’intesa ne esce rafforzata. Ne beneficia l’attacco (cui arrivano rifornimenti di miglior qualità) ma anche la stessa colpevolizzata difesa, che pare rassicurarsi. E fra Milan e Roma ne ha preso uno solo di gol. Nel trittico degli squalificati per Sassuolo-Napoli figura anche lui, assieme ad Inler e Callejon. Mediana perciò da avvicendare in blocco e meno male che stavolta le pedine non sono poi tanto contate. Non figura nemmeno nella lista Uefa per l’Europa League, e allora arrivederci a Napoli-Genoa. Giusto fra dieci giorni, tanto non c’è fretta ma c’è pure una nuova Champions da inseguire.

 

Fonte: Corriere dello Sport

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