Kwadwo significa lunedì: in Ghana si usa dare ai bambini il nome del giorno della settimana in cui nascono. Complicato, sinceramente. Più comodo e semplice Asa. Lo utilizza perfino lui quando parla in terza persona, ma in questa lunga intervista succede una volta: non è un vezzo, solo un caso, al massimo un riflesso dell’italiano diligente ma imperfetto, d’altronde Asamoah non è campione narciso, si danna in campo e non s’atteggia fuori, vive per la famiglia e il pallone inseguendo un sogno che parte da lontano. Parte da una casa piena di sole e d’immagini sacre, da partitelle infinite nella polvere, dalla scuola dove un maestro artista gli trasferì la passione del disegno: schegge dell’Africa di Asa, partito ragazzo per arrampicarsi nel calcio e approdato, venticinquenne, alla Juventus. Ha scelto la maglia bianconera per vincere e c’è subito riuscito: la Supercoppa nella prima partita ufficiale, quella della metamorfosi da centrale di centrocampo a esterno sinistro. Davanti c’era il Napoli che ritrova venerdì, in una sfida fondamentale, se non decisiva, per lo scudetto. Venerdì, in Ghana, si dice Afia: è il nome di sua sorella.
Kwadwo Asamoh, che partita s’aspetta?
«Difficile, però non ho paura. Dipende tutto da noi: se faremo quel che sappiamo, e giocheremo con cattiveria, non falliremo».
Sarebbe un bel passo verso lo scudetto…
«Non credo si decida niente, rimarrà ancora un lungo tratto da percorrere. Ad ogni modo, abbiamo il destino in mano: se continueremo a vincere, nessuno potrà raggiungerci. Né il Napoli, né le altre inseguitrici».
Giusto identificare gli azzurri con Cavani?
«E’ un calciatore importante, come del resto Hamsik, ma noi pensiamo alla squadra, non ai singoli. Il Napoli è forte nel suo complesso, non dipende da un fuoriclasse».
La Juve, però, un goleador così non ce l’ha, e in ogni sessione di mercato sbuca il top player: serve davvero?
«Vedremo a fine stagione. Io dico che abbiamo giocatori forti e importanti».
Esempio: Andrea Pirlo…
«Lo seguo da quand’ero ragazzino e mi è sempre piaciuto: tra i motivi di felicità, quando ho detto sì alla Juve, c’era la possibilità di poter giocare al suo fianco».
Altri modelli?
«Muntari: l’ho studiato a lungo».
Lei ha giocato per anni nel cuore del centrocampo, ma ormai s’è trasformato in esterno…
«Ho sperimentato la nuova posizione nel ritiro di Chatillon. E proprio contro il Napoli, a Pechino, l’ho ricoperta per la prima volta in una partita ufficiale. Mi piace, ho arricchito il mio bagaglio: adesso tutti sanno che Asa può ricoprire più ruoli».
La Supercoppa è stato il suo primo trofeo…
«Un’emozione unica: sono venuto alla Juve per vincere».
Davvero l’aveva cercata anche il Napoli?
(sorride) «Mi avevano cercato diverse squadre: ho scelto la maglia bianconera e sono felicissimo».
Prossimo sogno?
«Lo scudetto. Per me sarebbe il primo e la Juve si confermerebbe in Italia: il massimo»,
La Champions League?
«E’ dura, ma vogliamo essere protagonisti come le grandi Juventus del passato: possiamo riuscirci perché siamo forti come gruppo, ci aiutiamo tutti per cercare di andare lontano. Prima di tutto, però, prendiamoci i quarti: il 3-0 di Glasgow è un bel vantaggio, ma guai abbassare la guardia».
Quali ambizioni coltiva invece con il Ghana?
«Vincere la Coppa d’Africa. Quest’anno è andata male, ci riproveremo: è mancato qualcosa sul piano dell’esperienza, ma abbiamo giovani di spessore e margini di crescita notevoli».
Mentre lei era in Nazionale, la Juve ha vissuto il suo momento più delicato: coincidenza?
«Assolutamente sì: la Juve è composta da tanti calciatori importanti e se manco io ce ne sono altri bravissimi. Può capitare, semplicemente, di non vincere qualche partita».
Conte sostiene che diventiate più vulnerabili quando smarrite fame e ferocia agonistica…
«Proprio così: per questo a Napoli dovremmo essere cattivi».
Torniamo alla Coppa d’Africa: possibile, come ha rilevato l’allenatore nella notte di Roma-Juve, che un mese e mezzo di lontananza possa aver fatto di lei un pesce fuor d’acqua?
«Il rientro è sempre difficile, mi era successo già due anni fa dopo l’Angola. Incide il cambio del clima, lascia tracce l’interpretazione di un gioco molto fisico: tornare al top, però, dipende solo da me, ho lavorato sodo e sono concentratissimo».
A Napoli ritroverà Armero e Inler, compagni a Udine…
«In questi giorni non ci siamo sentiti. Con Gockan mantengo contatti, però non parliamo mai di calcio».
Nella fucina friulana c’era anche Sanchez: dicono sia infelice al Barça e piaccia alla Juventus…
«Possiede grandi qualità, è velocissimo: dovesse venire, potrebbe darci una mano».
Lei a Torino s’è ambientato in fretta…
«E’ una città grande ma tranquilla: l’avevo scoperta appena giunto in Italia, quando giocai per quattro mesi al Toro. Ci sto bene, come a Udine: ho scelto di vivere in centro».
L’ambiente bianconero?
«Non pensavo di inserirmi così presto. Avevo accettato senza immaginare che sarei diventato titolare, invece ho trovato spazio e piena sintonia. M’impegno ogni giorno per migliorare, spero di rimanere a lungo».
Una dote di Conte oltre la tattica?
«Ci sostiene quando qualcosa non va bene, ci aiuta a crescere anche attraverso il dialogo»,
Sa che Chelsea e Real Madrid lo corteggiano?
«Qui Conte è stato capitano, vincendo tutto, e appena tornato da allenatore ha restituito lo scudetto: è un simbolo della Juve e ha appena iniziato un progetto, credo e spero che resti».
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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