Il 15 maggio 1988 il Milan pareggia a Como e torna a vincere lo scudetto dopo 9 anni, strappandolo in volata al Napoli di Maradona e Careca. Primo trionfo di Silvio Berlusconi.
E di un signore 42enne, romagnolo di Fusignano , Ray Ban sugli occhi, figlio di un grossista di scarpe. Un maniaco del pallone che stava discretamente sulle scatole, eccome, quasi a tutti. Si chiamava Arrigo Sacchi. «A un certo punto ho persino rischiato di allenarlo il Napoli, mi voleva Maradona, lo sapete?»
E perché non accettò?
«Non ci fu mai un’autentica trattativa, solo grandi dimostrazioni di affetto nei miei confronti del giocatore più forte al mondo. Ma a quei tempi sarebbe stato più facile per lui venire al Milan».
Cosa che non accadde, per fortuna del Napoli.
«La prima volta che lo incontrai mi stregò: era nel gennaio dell’88 a San Siro, il Milan dominò i primi venti minuti di gioco, poi lui toccò la sua prima palla dell’incontro, fece assist per Careca e ci ritrovammo sotto. Sconvolse tutte le mie teorie sul calcio. Guardai in panchina Ramaccioni e dissi: “Dimmi che non è possibile!”»
Poi le andò bene. Quel giorno vinse 4-1 e al ritorno travolse il Napoli.
«E chi si dimentica quel primo maggio. Non solo perché ci fu il nostro sorpasso in classifica ma per quegli applausi dei tifosi azzurri: fino allora tutti pensavano che il pubblico partenopeo non accettasse la sconfitta, fosse incivile e incapace di essere sportivo. Una domenica memorabile».
Che ricorda di Maradona?
«Credo che il Milan debba molto a lui: tra i miei ragazzi c’era la consapevolezza che il giocatore più forte non era tra di loro. Ma in un’altra squadra. Quella da battere».
Due anni dopo la monetina di Alemao.
«Ho incontrato Alemao tempo fa: gli scocciava essere ricordato solo per la famosa monetina. Ha ragione: era davvero bravo. Come tanti altri nel Napoli: Francini, De Napoli».
Il merito del Napoli di questi anni?
«È il capolavoro di De Laurentiis che crede nel progetto del suo allenatore: cultura, intelligenza, innovazione».
Cosa insegnava Arrigo Sacchi ai suoi giocatori?
«Ogni cosa inizia dal cervello. Costringevo i miei giocatori ad addestrare la mente, prima dei piedi».
Su questo Mazzarri le somiglia. Le piace il Napoli come gioca?
«La verità? Non tanto. Ho sempre pensato che il calcio sia un gioco collettivo, magari sbaglierò, ma la vedo così. E questo Napoli mi sembra che punti troppo sui singoli. Che è poi il male di tutto il calcio italiano».
Che pensa dello sputo di Lavezzi?
«Ho sempre accettato le decisioni di arbitri e giudici». Ma al giocatore che avrebbe detto? «Errare umano, perseverare è diabolico».
Insomma, l’avrebbe perdonato?
«Solo per questa volta…».
Ha visto quante accuse agli arbitri?
«Non mi piace questa caccia all’errore, è una cosa da terzo mondo. Io credo che siano tutte persone oneste e in buona fede, anche nell’errore».
Però Robinho l’ha toccata con il braccio la palla? «Nessun dubbio. E l’Inter ha segnato in fuorigioco ma doveva avere un rigore».
Cavani o Ibrahimovic?
«Non scelgo, li prendo tutti e due. Sono una coppia fantastica. A entrambi piace sacrificarsi per la squadra, come piace a me».
Chi vincerà lunedì sera?
«Mai fatto la schedina in vita mia, vuole che cominci ora a fare i pronostici?».
E lo scudetto?
«Se vuole sapere se lo vince il Napoli, non credo… Una tra Inter e Milan».
Ma almeno il Napoli ce la farà ad entrare in zona Champions?
«Se il suo avversario è la Juventus credo di sì. La partita di Lecce mi ha lasciato allibito».
La Redazione
C.T.
Fonte: Il Mattino
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