Anni fa, quando Arrigo Sacchi visse da ct il tormento di essere sommerso da critiche anche malvage, su un albero davanti casa, in via Emaldi a Fusignano, tra il rumore di un camion sulla statale e un treno che corre via, qualcuno appese un foglio protetto da una busta trasparente: «Troppi sciacalli intorno a te». Era l’omaggio semplice della sua gente a Sacchi, un prodomo di quanto sarebbe accaduto nel tempo nel riconoscere a quest’uomo il valore del suo lavoro: aver dato un senso completamente diverso al gioco del calcio.
C’è un’ombra quasi bianca in mezzo alle tempie calve, unica virgola del tempo che passa. Arrigo Sacchi oggi ha ancora quella faccia dei pensatori a vita, alcuni grandi allenatori possiedono la singolare dote. Le sue idee continuano ad attraversare il tempo. «Il calcio in Italia è stanco, quasi fermo. Avrebbe bisogno di un’iniezione di cultura sportiva per ripartire. Si può cominciare dall’attenzione verso la politica dei settori giovanili e non lo dico perché sono il responsabile di queste nazionali. Ci rinnoviamo con lentezza e senso di fastidio, mentre il mondo, e non solo nel calcio, produce continue accelerazioni. Paese antico a cui piace l’antichità, questa frase non è mia ma di un direttore di Marca, pur se in Spagna il registro è cambiato e il vivaio da tempo è una risorsa. Come nel resto d’Europa. Al Chelsea dedicano dalle 16 alle 20 ore settimanali alle Accademy per i giovani. Da noi molte di meno. E qual è il risultato? Negli altri paesi c’è progresso, qui mancano persino le strutture. Al Napoli mi tocca fare una tirata d’orecchie, ho assistito a una partita delle giovanili contro la Roma su un campo che neppure tra i dilettanti potrebbe essere praticato. Eppure quello degli impianti è un punto cruciale per lo sviluppo».
Già, domenica in Milan-Napoli ci sarà anche una sfida di età, il Milan ha una media di 26,1 e il Napoli di 28,3. Molti sostengono che in casi del genere conti l’esperienza.
«Il Milan è stato smantellato, per necessità, con partenze di caratura: Gattuso, Ibrahimovic, Seedorf, ora bisogna avere pazienza. Domenica avrà peso soprattutto il gioco e come le squadre conserveranno le loro identità tattiche. Questo è fondamentale. Il gioco d’assieme riesce ad amplificare o ridurre il valore di una squadra. Immaginate se Messi avesse giocato nel Milan nella partita di Barcellona. Non avrebbe cambiato il corso della stessa. Quando allenavo i rossoneri, dicevo ai miei: l’obiettivo è non far giocare cento ma solo venti palloni a Maradona, se gli ostruiamo le vie dei passaggi e gli riduciamo gli stessi a venti, avremo buon gioco. Più di una volta ci siamo riusciti».
Nel Milan chi bisogna fermare?
«Non c’è un fuoriclasse del genere. Gli avversari dovranno avere la forza morale di imporre il proprio meccanismo tattico, non devono né snaturarsi, né accontentarsi di un risultato apparentemente utile».
Qual è la chiave di lettura di questa sfida?
«Il Napoli sta bene, è in forma, ha ritrovato la brillantezza di qualche mese fa. È una squadra che si basa molto sullo stato fisico dei suoi elementi cardine. Su Hamsik, su Cavani, su Pandev. Pratica un gioco classico, all’italiana. Basato sulle ripartenze. Nel nostro campionato c’è poco di moderno nello sviluppo del calcio e di concetti nuovi che altrove sono ormai acquisiti. Siamo ben distanti dal resto d’Europa».
Chi si avvicina di più?
«Tra Juventus, Napoli e Milan, le prime tre della serie A, mi sbilancio per i bianconeri, che si avvicinano di più ai modelli del football continentale. Tuttavia quando c’è il confronto con gli altri club europei, scopriamo che anche la Juve non è al passo con i tempi. Basta vedere la partita di andata contro il Bayer Monaco».
La sfida tra Mazzarri e Allegri chi la vincerà?
«Il primo sa infondere forza, energia e capacità. Ha idee chiare. Allegri sta realizzando un progetto nuovo, pur se il Milan secondo me potrebbe giocare anche meglio. Tuttavia entrambi sono legati a un concetto di calcio diverso dal mio».
Riconfermerebbe Mazzarri e lascerebbe partire Cavani?
«Assolutamente, l’allenatore lo merita per il grande lavoro che sta svolgendo. Diverso il discorso Cavani. Premesso che nel calcio tutti sono utili e nessuno è indispensabile, in Italia non ci si può permettere di vincere barando e quindi vincere con i debiti non è serio. Bisogna sapere che quando un giocatore come Cavani vuole certe cifre, se non si vuole alzare il deficit, è assurdo impedirgli di andare via. Si va avanti anche senza i big. I miei denigratori sostenevano che sapevo vincere solo grazie a Van Basten e Gullit. Aggiungo un altro ricordo, nelle mie sfide tra Milan e Napoli, Evani era sempre agitato perché temeva che De Napoli lo sovrastasse, io gli dicevo: tranquillo Chicco, il nostro collettivo ti aiuterà nei momenti più complessi».
Il calcio disciplinato e quasi scientifico di Sacchi ha saputo dividere l’Italia in due fazioni ben definite, coloro che lo hanno sempre definito un genio e quelli che lo credono sopravvalutato. Fatto sta che esiste il calcio italiano prima e dopo Sacchi, che il suo Milan è stato definito la migliore squadra di club del dopoguerra e che il Times lo nominò il miglior allenatore nel nostro Paese di tutti i tempi. «Non ho mai saputo di un fantino che è stato un grande cavallo», ha sempre risposto Arrigo a chi lo accusava di non poter essere un grande tecnico, non essendo stato un grande calciatore.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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