Questa è la storia di un derby del cuore: infranto nella metà rosanero, gonfio di emozione in quella azzurra. «E chi se lo perde, ragazzi». Quelli come Salvatore Aronica, detto Totò, uno degli eroi del Napoli di Mazzarri e della Champions League, della Coppa Italia e dei normal one che diventano special nelle notti magiche del San Paolo, non ne fanno più: generoso come pochi, guascone come nessuno. E poi uomo di campo e di spogliatoio, vittima però di una nemesi che, per il momento, riesce ancora a prendere con filosofia. A modo suo: «Sono un tesserato del Palermo ma vivo da separato in casa, non lavoro con la squadra e ormai non gioco una partita da un anno: però nel calcio non si sa mai?». Domani chissà, allora. Mentre oggi è certo: «Sarò al San Paolo da tifoso. Con gli amici». Ma poi tifoso di chi?
E allora, ben trovato Totò: 36 anni, quattro stagione e mezza in azzurro, da settembre 2008 a gennaio 2013, e 141 partite tra campionato, Coppa Italia, Europa League e Champions.
«Che ricordi meravigliosi. E che sensazioni».
La Napoli di Aronica in tre mosse?
«Un amico fraterno, Paolo Cannavaro; la vittoria in Coppa Italia, in finale con la Juve; il San Paolo strapieno. Ho dato tanto alla maglia e Napoli ha dato tantissimo a me. Un periodo indimenticabile, molto importante nella mia vita».
Proprio come Palermo, la città in cui è nato e anche il club che l’ha acquistato dopo la chiusura della parentesi azzurra.
«Sì, però purtroppo sono riuscito a dare poco e ho ricevuto meno. Appena 15 presenze, da gennaio a giugno 2013, prima di essere escluso dalla rosa. Sono fuori squadra da un anno, ma ogni mattina mi alleno con un personal. Da solo: non ho l’obbligo di andare al centro sportivo».
Dura, per uno che ha conquistato una Coppa Italia, giocato la Champions e sognato lo scudetto fino all’altro ieri.
«Beh, sì, il campo mi manca. Mi manca ciò che ha caratterizzato la mia vita negli ultimi vent’anni anni: diciamo che per il momento mi dedico alla famiglia e alle mie attività imprenditoriali».
Magari il presidente Zamparini deciderà di cambiare idea.
«Non credo, visto come mi ha trattato l’anno scorso: il presidente è un uomo di potere, con le idee chiare, e se non è accaduto neanche dopo l’arrivo di Ceravolo, cioè colui che m’ha cresciuto, direi che la situazione non prevede novità».
Il Napoli, invece, deve provare a cambiare il corso delle cose immediatamente.
«Beh, il momento è abbastanza difficile: da quello che mi dicono non c’è un gruppo forte, trainante, tipo quello della mia epoca con Grava, Cannavaro, Lavezzi, Hamsik e compagnia. Manca la napoletanità. E manca ancora la quadratura: l’anno scorso subivano tanto ma segnavano tantissimo, mentre quest’anno incassano poco ma realizzano meno. Anche da un punto di vista societario mi pare che ci sia poca chiarezza: si parla di obiettivo scudetto, creando aspettative, e poi dal mercato non arrivano campioni e leader. Anzi: a centrocampo la squadra è più debole».
Soluzioni?
«Se fossi l’allenatore?».
Sì, considerando che in futuro è questo il suo obiettivo.
»Beh, direi ai ragazzi che la maglia azzurra è un onore e un onere. E punterei tutto sul carattere: con il Palermo serve a ogni costo la vittoria per ritrovare serenità e fiducia. E anche per ricucire il rapporto con il pubblico».
Totò, oggi, sarà al San Paolo?
«Con amici, sì, a fare il tifoso».
Di quale maglia?
«Beh, la sfida è tra la mia città e la mia seconda casa: un bel pareggio!».
Una risposta molto diplomatica.
«Analizzando le formazioni e il contesto, direi che gli azzurri non possono più steccare, ma il Palermo ha entusiasmo e un valore aggiunto: il direttore Ceravolo, bravissimo nell’affiancare gente di esperienza a talenti come Dybala e Vazquez. Hanno futuro».
E il Napoli?
«Lo vedo ancora dietro a Roma e Juve: credo che al massimo farà un campionato tipo il precedente».
Fonte: Corriere dello Sport
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