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Arbitraggi casalinghi, una storia vecchia quanto lo sport. Da Cile ’62 a Nishimura…

Dal Cile '62 alla Corea del '2002, in pochi si sono sorpresi per il rigore regalato al Brasile ieri sera

Proprio qualche giorno fa è stata citata in un programma televisivo la storia del ginnasta azzurro Franco Menichelli, plurimedagliato olimpico nell’edizione di Tokyo ’64. Bronzo alle parallele, Menichelli fu scippato dell’oro agli anelli da una giuria che, dopo un errore gravissimo del favorito padrone di casa Endo, premiò più che generosamente l’altro giapponese Hayata che finì per sopravanzarlo di solo mezzo punto. Nel corpo libero, sua specialità preferita, l’azzurro fu quindi chiamato a confezionare un capolavoro di perfezione per mettere all’angolo la giuria ed aggiudicarsi l’oro davanti allo stesso Endo guadagnandosi così l’appellativo di “imperatore del Giappone”.

Chi segue gli sport da giuria sa bene che i giochi olimpici pullulano di casi di questo tipo. Dai tuffi alla ginnastica, dal sincronizzato alla boxe c’è puntualmente benevolenza verso i padroni di casa laddove il giudizio sulla prestazione è affidato all’uomo prima che al campo. Una delle immagini celebri dell’edizione Seoul ’88 è la protesta del nostro pugile Nardiello dopo un verdetto che favorì un avversario coreano, e come non ricordare la finale degli anelli di Atene 2004, quando nello stesso momento in cui il modesto greco Tampakos esultava per un oro immeritato il nostro Yuri Chechi, di bronzo col suo ultimo ruggito di carriera, urlava al pubblico che il vero vincitore era il bulgaro Jovtchev, secondo classificato?

E perfino la pallanuoto offre un esempio in materia peraltro ben impresso nella memoria di noi italiani: ricordate la finale di Barcellona’92 in cui la spuntammo sugli spagnoli dopo un match infinito e costellato di colpi proibiti puntualmente ignorati dai giudici di vasca?

Ma veniamo al calcio ed a quel campionato del mondo che da quasi un secolo costituisce l’evento sportivo più seguito e chiacchierato del pianeta grazie alle gesta tecniche, ma anche alle manovrine politiche che ne muovono più o meno apertamente le sorti.

Ignorando non per partigianeria, ma per semplice deficit di memoria storica le voci che parlano di un’Italia aiutata nel mondiale casalingo del 1934 partiamo nella nostra cronistoria dall’edizione 1962 quando un Cile di picchiatori riuscì a piazzarsi terzo dopo aver battuto l’Italia in un match–corrida in cui tra le numerose gesta pro-cilene dell’arbitro inglese Aston si ricorda l’espulsione di David e Ferrini, colpevoli di aver non dato, ma preso pugni e calci da Leonel Sanchez, un avversario con la vocazione del catch.

Nel 1966 si sfiorò la crisi diplomatica tra inglesi e tedeschi per il celebre gol fantasma di Hurst che consegnò agli inglesi padroni di casa il loro fin qui unico mondiale ed ancor oggi colui che non vide, alias il guardalinee sovietico Bakhramov, ha un posto di riguardo nei cuori dei sudditi di Sua Maestà.

I mondiali del 1970 e del 1974 filarono via con poche polemiche, fino a giungere all’edizione politically uncorrect del 1978, quella dell’Argentina dei colonnelli ossequiata dal mondo nonostante le già allora palesi violazioni dei diritti umani che si perpetravano in loco. In questo caso l’aiutino ai sudamericani, alla loro prima vittoria iridata, prima che dagli arbitri venne dal portiere peruviano Quiroga, argentino di nascita, che nel match decisivo della seconda fase incassò molto colpevolmente i sei gol che servivano agli argentini per sopravanzare il Brasile e guadagnarsi la finale contro l’Olanda.

L’edizione del 1982 passò alla storia per l’esordio del “biscottino”, col pareggio chiacchierato tra Austria e Germania che costò l’eliminazione all’Algeria, ma anche per un rigore donato alla Jugoslavia all’88′ del match con l’Honduras. Gli slavi non giocavano in casa, ma quel gol servì ad eliminare i centroamericani che, con un pari, avrebbero estromesso dalla kermesse i padroni di casa spagnoli, allora tutt’altro che fulmini di guerra.

Per qualche anno il fenomeno è decisamente sfumato con la finale 1990 come unica pietra dello scandalo, ma in questo caso più che di aiuti casalinghi si parlò di sicari inviati per colpire Maradona e la sua “scomoda” Argentina. Dietrologia? Può darsi, ma la storia racconta che il carnefice degli argentini, quel messicano Codesal unico a vedere il penalty che assegnò il trofeo alla Germania di Beckenbauer, finì in seguito condannato per corruzione dopo un’inchiesta della sua stessa federazione.

Gli omaggi agli anfitrioni si ripresentano veementemente e in veste decisamente grottesca dopo dodici anni . Correva l’anno 2002, quello che per il calcio italiano è passato agli annali come l’anno di Byron Moreno Ruales e per gli spagnoli come quello di Khamal El Ghandour, i due fischietti che contro Italia e Spagna stesero tappeti rossi alla sbarazzina Corea del Sud di Guus Hiddink così accompagnata fino alle semifinali. Nello stesso anno il Brasile di un Ronaldo alle ultime gesta si vide favorito negli ottavi di finale da un gol misteriosamente annullato al Belgio per poi vincere il trofeo di un’edizione brutta quanto scandalosa.

E’ per questo che ieri pochi son rimasti sorpresi dinanzi alla decisione dell’arbitro Nishimura. E se i motivi della benevolenza verso i brasiliani non si limitano al solo fattore casalingo finendo perfino per invadere la sfera dell’ordine pubblico fa tristezza pensare che l’entusiasmo di tutti gli appassionati per la competizione per eccellenza del calcio mondiale sia subito finito sepolto dalle polemiche, dalla delusione e dalla non del tutto ingiustificata dietrologia del “tutto è già deciso” alimentata dall’ostinazione della Fifa nel rigettare il supporto tecnologico della moviola in campo.

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