Lo hanno visto solo sulle maglie degli altri. Visto, non vinto. Diciotto allenatori su venti della serie A prossima ventura, non sanno cosa sia lo scudetto, lo conoscono per sentito dire, come una remota leggenda. Non hanno la minima idea di cosa si provi a conquistarlo, e neppure come si faccia. Tra i tanti segnali di crisi di un piccolo campionato che ricomincia, questo dei tecnici che non hanno mai vinto lo scudetto non sembra il più marginale. Nell’anno del calcio italiano che riparte dal basso, dopo l’umiliazione dei club in Champions e della possibile fuga all’estero di altri campioni, anche la casta degli allenatori si è immiserita. I vincitori di un decennio stanno altrove, sono rimasti solo Conte e Allegri. Poi nessun altro, a parte loro, sa cosa significhi quel triangolo verde, rosso e bianco. È il tempo che passa, forse è vera decadenza, o magari una nuova epoca che comincia, nel buio. Tre delle squadre più importanti – Inter, Roma, Napoli – hanno cambiato allenatore in contemporanea: anche questo non accadeva da un sacco di tempo.
Il più atteso, Rafa Benitez, ha una fama di maestro di calcio e di allenatore super titolato (scudetti in Spagna, Champions ed Europa League conquistate insieme a coppe e mundialiti vari). Il suo Napoli è un modello economico: ricavi dai diritti televisivi; il resto è merchandising e sponsor; stipendi che incidono solo per il 45 per cento del fatturato. Anche se poi in campo non vanno i commercialisti, e neppure i contabili, a Benitez, che è un tipo studioso, non saranno sfuggiti gli aspetti sociali, storici ed economici di un percorso che può cominciare insieme con il Napoli. Lui può esserne il tramite, avendo da spendere non solo il nome ma anche e soprattutto le sue relazioni internazionali. Il club, che è ancora una miniera inesplorata in campo extra europeo, ha infinite potenzialità per diventare, in tempi relativamente brevi, un riferimento assoluto di novità calcistica e, perché no, di fair-play finanziario. Benitez e De Laurentiis vogliono incarnare un’idea, un sistema applicabile e una scuola. Hanno una squadra che può rivelarsi sempre più competitiva, senza per questo rinnegare un gusto e un intuito che nel tempo ha portato il club a scegliere giocatori di prospettiva svizzeri, macedoni, sloveni, uruguaiani piuttosto che argentini d’importazione o cittadinanza diretta, perché il Napoli – come i top team – è multietnico, aggregante e vario, non certo un cliché dell’antico e un po’ marmoreo «pallone». Anche per questo, Benitez l’ha preferito e il Napoli ha preferito lui.
Egli porterà il peso di un’obbligazione calcistica: il primo posto sfiorato quest’anno. Avvertirà subito la responsabilità che lo attende. Benitez risponderà con l’infinita pacatezza, quasi una sonnolenza, utile nei momenti di esaltazione eccessiva, sia nel bene che nel male. Ovvero quella che troppo spesso trasforma il Napoli in uno specchio deformante: un giorno è bellissimo, l’altro è il peggiore manipolo che ci sia. Benitez potrebbe regalare qualcuna delle sue metafore, qualche lungo giro di parole per non dire niente, ma per dirlo molto bene e ridare così un senso pure alle parole inutili. Perché la dimensione del Napoli che verrà, sia essa internazionale o no, dipenderà tanto dalla piazza e tanto dalla squadra e dai suoi umori. Già, questa sarà una compagine che cambierà, soprattutto in difesa, e che potrà subire un «terremoto» nel reparto avanzato, se Cavani dovesse trasferirsi in qualcuno di quei club dei quali egli non ne fa mistero d’amore. Ma nemmeno le sorti avverse o le rivoluzioni nell’organico sembrano scalfire un uomo d’esperienza come Rafa Benitez. S’è abituato a questi ribaltoni: è stato il condottiero di quel Liverpool che firmò la rimonta storica (da 0-3 a 3-3) in quel di Istanbul, contro il Milan che già era pronto per la festa. Rafa è stato anche il primo a subire le conseguenze del post-Mourinho all’Inter e sempre lui ha patito fino a qualche tempo fa un atteggiamento ostile a gettito continuato da parte dei tifosi del Chelsea, memori del suo passato di successi alla guida dei rivali del Liverpool. Sì, vere e proprie contestazioni da parte dei più accesi sostenitori dei blues: perché non solo Benitez era un nemico giurato ai tempi di Mourinho, ma i fan non avevano dimenticato quello che Di Matteo aveva fatto, con la vittoria in Champions League lo scorso anno, seguita dall’esclusione della stagione di Benitez. Eppure, il tecnico spagnolo è andato dritto per la sua strada, portando il Chelsea comunque in finale di Europa League. La zuccata di Ivanovic, poi, ha fatto il resto e ora Rafa è pronto a ricominciare da vincitore. Tant’è che il suo approdo sulla panchina del Napoli sta dando la stura a una ridda di voci di mercato, riguardanti soprattutto ex calciatori, tutti di alto livello tecnico e agonistico, dell’allenatore spagnolo. Coraggioso ai limite della sfrontatezza, rivelano quelli del suo staff, Benitez ha, da più di tre settimane, cominciato a tirare silenziose righe a matita sui nomi più brillanti di difesa, centrocampo e attacco, scegliendo e togliendo, per arrivare infine alla quadratura del cerchio. Con o senza Cavani.
Perché lui è il più «tedesco» degli allenatori latini. Serio, posato, professionale. Quindi la scelta per il Napoli sembra la più naturale, anche se poco ovvia. Egli sbarca in una società che vuole abituarsi a mietere successi e lo fa in un contesto non facile, si immerge in un ambiente che organizza carnevali se vince il campionato e prenota una visita dallo psichiatra al secondo pareggio. Mentre Rafa guarda il calcio come i libri contabili. E non c’è falso in bilancio che tenga. Molti fatti, niente fumo, un anno (il primo) per plasmare una squadra, metterci mano davvero. Cominciando dal settore giovanile. Qui Benitez ha già detto la sua. Lo spiega molto bene Aurelio De Laurentiis quando rivela che la sua scelta è dovuta anche all’attenzione che il tecnico spagnolo nutre per il settore giovanile. «Benitez ha chiesto di far giocare la Primavera e gli altri baby con lo stesso modulo della prima squadra. Ho contattato personalmente dieci allenatori, ho scelto Rafa perché era quello che mi convinceva di più». Non è difficile cogliere il senso di queste parole, ben sapendo come De Laurentiis voglia privilegiare le politiche che portano a fare emergere i campioncini piuttosto che affidarsi a chi è già affermato e magari pure bolso. Benitez prenderà spunto dall’«academy» inglese e dalla «cantera» spagnola, veri e propri opifici di talenti. Per ora terrà d’occhio l’altro Insigne, Diamante Crispino, Daniele Ciliento (tutti diciottenni) e Gennaro Tutino (addirittura 16 anni). Ovvero i piccoli azzurri che crescono stagione dopo stagione.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
L.D.M.
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