Il posto è un bellissimo posto, perché ricorda al Napoli una delle migliori versione di sé. «È vero, all’Olimpico abbiamo giocato come poche volte in Italia, nella finale in cui abbiamo battuto il Verona», ricorda Antonio Juliano, il capitano ”napoletano” del Napoli per quasi 500 partite negli anni ’60 e ’70. Era il 29 giugno di 36 anni fa e dall’altra parte del campo c’erano i gialloblù allenati dal suo ex ct, Ferruccio Valcareggi, non la Juventus campione d’Italia. «La Coppa l’abbiamo conquistata nell’ultimo quarto d’ora, ma la gara l’avevamo dominata. Sugli spalti era un trionfo di bandiere azzurre».
Però, bell’attacco: Massa, Savoldi, Esposito e Braglia.
«Sì, ma tanto cambiava poco: ho giocato con altri super campioni, come Sivori e Altafini ma era sempre la stessa storia: se perdevamo era colpa solo mia e quando si vinceva il merito era di tutti».
Allora quella sera come andò?
«Eravamo i favoriti e giocammo da favoriti. In panchina c’era Del Frati, in campionato eravamo finiti al quinto posto. L’attesa era grande, la voglia di vincere dei napoletani enorme. Ricordo l’Autosole nel viaggio di ritorno: noi sul bus e centinaia di auto che ci scortavano. L’ingresso a via Marina fu trionfante».
Fu un buon viatico: l’anno dopo Coppa delle Alpi e l’Anglo-italiana?
«A vederla con gli occhi di adesso sembra robetta, ma all’epoca in cui in Europa andavano davvero in pochi, quei trofei erano assai prestigiosi. Io in questi giorni mi sono divertito a vedere quante volte il mio Napoli è finito nei primi quattro posti: avrei disputato la Champions almeno sei volte».
Juliano, lei per il Napoli è mister Coppa Italia: ha vinto due finali e ne ha perse altre due.
«Dal punto di vista sentimentale, l’ha più emozionante è stata quella del ’62: io contro la Spal non giocai. Vidi i gol di Corelli e Ronzon dalla panchina, all’epoca non c’erano sostituzioni ma ero felice lo stesso. Avevo contribuito alla vittoria nella semifinale contro il Mantova. Una Coppa storica: eravamo in serie B e nessuno è mai riuscito a fare la stessa cosa».
Dieci anni dopo, la seconda finale: contro il Milan.
«I rossoneri avevano perso lo scudetto per un punto, erano infuriati. Per loro una coppa di consolazione, noi invece lottammo a denti stretti, ma il Milan quell’anno era più forte di noi».
8 giugno del ’78: ecco l’Inter.
«Venimmo beffati a pochi minuti dalla fine per una rete di Bini. Speravo proprio di finire la mia lunga carriera con il Napoli regalando la Coppa Italia».
La sua ultima gara in azzurro?
«Sì, la mia ultima partita con la maglia azzurra. Venivo da un anno pieno di infortuni, una tallonite che mi aveva massacrato. Una domenica perdiamo in casa col Vicenza e Ferlaino piombò negli spogliatoi urlando contro tutto e tutti. Disse che da quella sera si andava tutti in ritiro. Ma come, io?! Avevo 36 anni e una famiglia. Risposi secco: bene, mi ritiro dal calcio».
Cambiò idea, poi.
«C’era solo la finale di Coppa Italia contro l’Inter ancora da giocare. Il presidente mi chiamò continuamente, allora decisi che prima giocavo, anche perché ci tenevo, e poi avrei smesso».
Ma in estate, la svolta..
«Di Marzio mi dice che gli serviva gente d’esperienza e mi convince a tornare sui miei passi. Ma la società a metà luglio, quando ero in Sardegna mi offre la guida del settore giovanile. Ah sì, risposi. Poiché io ho sempre fatto di testa mia, decisi che volevo continuare a giocare. E me ne andai al Bologna dal mio amico Pesaola».
Arriviamo a giorni nostri, alla sesta finale della storia azzurra.
«Auguro a Paolo Cannavaro di provare la mia stessa gioia: io sono stato l’unico napoletano a vincerlo da capitano, è arrivato il momento che lui venga a farmi compagnia».
Chi la sua favorita?
«Il Napoli. Ha dimostrato di poter mettere in difficoltà la Juve con la sua velocità. Poi magari i bianconeri sono appagati dal successo in campionato».
Giocherà Pandev o Lavezzi?
«Il Napoli ha disputato una stagione interminabile, più di 50 partite e quasi 8 gare in più rispetto alla Juve. E le otto gare sono quelle di Champions. Quindi deve giocare chi sta più in forma».
Lavezzi andrà via.
«Mi meraviglia chi si stupisce: è argentino, non è nato qui. Le bandiere sono quelle che giocano nella squadra dove si è nati e cresciuti».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
M.V.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro