In fondo al tunnel c’è (quasi) sempre una luce: e in quell’oscurità improvvisa calata sul Napoli, quattro sconfitte in altrettante partite, la possibilità di orientarsi esiste a prescindere. Il salto in avanti nel buio è un’opzione praticabile, perché in quel percorso tortuoso creatosi tra il Psv, l’Inter ed il (doppio) Bologna, rimane la traccia del passato, le conoscenze delle dinamiche tattiche e (soprattutto) psicologiche. Per ritrovare se stesso, la sua espressione gioiosa di calcio, il Napoli ha un «vissuto» anche recente dal quale attingere: e al di là della consapevolezza della propria forza, e persino della straordinaria capacità di Cavani di far reparto (e talvolta anche squadra) da solo, c’è una struttura d’assoluto spessore (pure caratteriale) sulla quale contare. Il rischio, in situazioni complesse e delicate, apparentemente irrisolvibili, è racchiuso nel catastrofismo che talvolta avvolge l’universo calcistico o nella superficialità, che invece è materia d’uso e consumo di presunti innocenti. E’ indiscutibile – e guai ignorarlo – che la manovra d’una squadra capace di viaggiare a ritmi talvolta insostenibili per gli avversari si sia appesantita ed è sulle cause di questa umana involuzione che va incentrata la riflessione: la stagione è cominciata con largo anticipo, il 10 agosto, e tra le pieghe di un’analisi a tutto campo, può essere inserito pure quest’aspetto (atletico) per nulla irrilevante. Laddove si inseguano ombre di congiure del destino – tre sconfitte su quattro in piena zona Cesarini – possono invece annidarsi dettagli tutt’altro che marginali nell’assemblaggio d’una organizzazione difensiva che, invece, da tempo lascia registrare colpevoli disagi. Ma le carenze emerse (a sorpresa) sono altre e sarebbe ingeneroso concentrarle (solo) sulle palle inattive, sulla relativa consistenza di Fernandez per il dopo-Cannavaro, sulla prolissità del palleggio, sulla ripetitività della fase offensiva, sulla consistenza delle alternative, sul dicembre addirittura più nero dell’ultimo ottobre, quattro ceffoni, zero punti (anzi, meno due), dieci reti subite e cinque segnate (quattro delle quali dal matador). Che il Napoli si sia spento è un’annotazione della cronaca più recente, impietosa stavolta almeno quanto esaltante nel triennio ch’è alle spalle. Ma i margini d’intervento esistono e richiedono l’onestà intellettuale e la serenità di giudizio in dotazione: per ricomporre l’atmosfera magica che ha trascinato Mazzarri dal sest’ultimo posto del suo avvento sin (quasi) all’Olimpo degli dei accarezzato vincendo la coppa Italia, può essere sufficiente rientrare nel proprio laboratorio, rimettere assieme i fogliettini tagliuzzati con su la formula magica, guardarsi dentro, chiedersi poche (e però illuminanti cose) e poi ripartire di slancio, superando lo choc che ha inaridito le idee. Verranno poi i giorni in cui (con decisione) sarà possibile definire il proprio futuro e quello del Napoli, ma ora è un semestre sabbatico che (mentalmente) non è consentito concedersi.
Fonte: Corriere dello Sport
La Redazione
A.S.
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