Prima e dopo, passando da un Quarto all’altro. Ciro Amorosetti allenava pure negli anni crepuscolari d’un «altro» calcio; c’è tornato «dopo», per concedersi il proprio Quarto di nobiltà, per vivere un’altra storia.
Che giornata è stata, Amorosetti?
«Indimenticabile. Siamo fieri di ciò, ma siamo soprattutto grati alla Nazionale, che ci ha reso omaggio».
Cosa significa allenare oggi a Quarto?
«Vivere in un gruppo maturo e direi soprattutto responsabile. In passato, non eravamo consapevoli di ciò che ci circondava; direi che non ci ponevamo neanche troppe domande. Poi c’è stato il mutamento generale, la presenza di pm, di giudici, di amministratori giudiziari. Siamo cresciuti tutti».
Lei c’era anche con il «vecchio» Quarto.
«E arrivare in Serie D non bastò: venni esonerato. Ma alimentavo la mia passione da tecnico, non mi interrogavo. Stavolta è diverso, perché le circostanze ci hanno spinto a maturare».
Mai avvertita diffidenza intorno a voi?
«Ci scocciava accorgerci che a qualcuno dessero fastidio le nostre vittorie, che si adombrasse una certa simpatia».
Le partite che giocate restano sempre due.
«La più importante rimane quella che si disputa fuori dal campo. Sappiamo che i fari non si spegneranno qua, perché il Quarto prosegue nella sua missione».
Fonte: Corriere dello Sport.
La Redazione.
D.G.
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