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Amarcord, Bagni: ”Diego, un napoletano nato in Argentina. Vinceva da solo, altro che Messi …”

"Ricordo ancora quella punizione a Tacconi e la faccia di Pecci"

Il 4 luglio di trent’anni fa, alle 14.05, atterrava a Fiumicino, proveniente da Bercellona, Diego Armando Maradona. Il Napoli lo protesse dall’assalto di fotografi e giornalisti dal momento che l’avrebbe dovuto presentare il giorno dopo al San Paolo. Organizzò il tutto il compianto Carlo Juliano: trasferimento lampo in città a bordo di uno shuttle con vetri fumè, visite mediche, blitz in sede per firmare il contratto e poi a bordo di un cabinato dal Beverello fino a Capri per la cena e il pernottamento nella suite solitamente riservata alle star del cinema e dello spettacolo. Il giorno dopo, in sessantamila pagarono un simbolico biglietto (imposto per motivi di ordine pubblico, con incasso devoluto in beneficenza) per accoglierlo con cori, striscioni e un inno già dedicato a lui (oh mama, mama mama sai? Perché? Mi batte el corazon?…). L’orologio segnava le 18.31 quando Diego apparve sulla scaletta dello stadio, con i pantaloni azzurri di una tuta, la maglietta bianca e le scarpette da ginnastica. Poco prima si era esibito in conferenza stampa nel ventre dello stadio e già aveva colpito al cuore: «Dipendesse da me farei entrare tanti bambini allo stadio. Sono a disposizione per i più bisognosi. Differenze tra il calcio argentino, spagnolo e italiano? Io gioco sempre alla stessa maniera, non cambierò le mie abitudini; molto dipenderà da quelli che giocheranno assieme a me, nel bene e nel male». Sul campo abbozzò un mezzo giro di pista, poi volle il microfono: «Buonasera napolitani, sono molto felice di essere con voi». Si fece passare un pallone e cominciò a palleggiare. L’inizio di un grande amore. E chi più di Salvatore Bagni, oltre a Beppe Bruscolotti, poteva tracciarne un ricordo. E’ stato ed è l’amico del cuore di Maradona e di tutta la sua famiglia.
Bagni, dov’era quel quattro luglio?
«A Los Angeles con la nazionale Olimpica. E per motivi familiari non avevo ancora detto di sì al Napoli. Ma ricordo ancora l’eco di quella presentazione. Sessantamila persone per vederlo solo palleggiare»
Quando conobbe poi Diego?
«Dopo il ritiro, mi aggregai alla squadra a Soccavo. Con lui bastò uno sguardo perché scattasse l’amicizia. Giocai la prima di Coppa Italia con l’Arezzo ed ero così felice che avrei voluto spaccare il mondo in campo».
Cosa è stato per il Napoli e Napoli?
«Maradona è stato la storia vincente di questa squadra. Senza di lui non saremmo mai arrivati a tanto. Per la città ha rappresentato un motivo di orgoglio grandissimo. I tifosi vedevano in lui un trascinatore, un difensore dei propri diritti».
Eppure l’inizio non fu dei migliori
«E’ vero, quel girone d’andata fu un tormento. C’era Rino Marchesi in panchina, una persona meravigliosa, molto stimato da Maradona. Fu a Vietri sul Mare che ci confrontammo a muso duro. Ci riprendemmo e dopo due anni vincemmo lo scudetto. Mai avrei pensato che in così breve tempo saremmo diventati così forti. Merito di Maradona, ovviamente».
Qual è il ricordo più singolare?
«La punizione a Tacconi. Non la vidi dal campo. Ero stato appena espulso. Ma sentii un boato impressionante. L’ho rivista poi decine di volte in tv. E Pecci racconta ancora divertito che Diego gli chiedeva la palla nonostante la barriera fosse così vicina ed a pochi metri dalla porta».
E poi?
«La festa del primo scudetto. Fu un’emozione unica. Una città finalmente felice. E noi più felici di loro».
Conserva una foto in particolare con Maradona?
«Sì, quella di Wembley quando venni convocato, unico italiano, nella selezione Resto del Mondo: sto io al centrocampo e ai miei lati Platini e Maradona».
Cosa ha rappresentato per i compagni di squadra?
«Diego era tutto per noi. Ci ha aiutato a vincere e a guadagnare. Ma eravamo davvero una famiglia. Oggi siamo rimasti amici. A Diego piaceva venire mio ospite a Gatteo. Una persona straordinariamente semplice e genuina»
E la storiella che non s’allenava?
«Balle. A lui non piaceva correre senza palla ma con il pallone s’allenava due volte tanto. E quante volte è arrivato all’ultimo momento, è sceso in campo e ha fatto gol».
Paragone con Messi?
«Non scherziamo. Diego è stato e resta un calciatore fantastico, che da solo era capace di vincere una partita».

Fonte: Corriere dello sport

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