Fresco di convocazione in nazionale brasiliana, il centrocampista azzurro Allan ha rilasciato un’intervista ai colleghi del quotidiano “Il Mattino”:
Allan, chi vince domani?
«Ahi, qui a Napoli siamo scaramantici, non si dice».
Come un napoletano (acquisito) qualsiasi, quasi come Mertens, che da queste parti chiamano Ciro.
«Dries è irragiungibile, lui vive la città in tutto e per tutto. È napoletano. Il più napoletano degli stranieri».
E lei?
«Io mi trovo benissimo, mio figlio Miguel parla il dialetto napoletano. Napoli mi ricorda Rio, mi sento un po’ a casa: stessa allegria, stessa spensieratezza, il mare…».
Da Udine a Napoli, un trauma.
«Il vero trauma è stato da Rio a Udine. Ero giovane, all’inizio è stata dura, poi mi sono trovato alla grande, anzi quell’esperienza mi ha aiutato tanto».
Ora è leader del Napoli.
«Leader non lo so, gioco con compagni eccezionali. Cerco di fare del mio meglio».
Fino a meritare la Seleçao: è stato convocato dal commissario tecnico Tite per le due amichevoli di novembre.
«Sono anni che mi impegno, per me è una grande soddisfazione. Spero sia solo un punto di partenza, per ora sono concentrato sul Napoli».
E sulla Roma, immaginiamo.
«In quattro anni qui, non l’ho mai battuta. Una maledizione, speriamo di invertire il trend».
Ma lo scudetto è davvero un obiettivo?
«Beh, perché no?».
La Juve è imbattibile.
«È la più forte, non imbattibile. E comunque noi ci dobbiamo provare».
Che ne pensa della Roma?
«Grandissima squadra, che ha perso punti e immagino non voglia perderne altri».
Ha fermato Neymar, non avrà paura di Dzeko.
«Paura no, ma lo ritengo un grande calciatore. Completo in tutto, destro, sinistro, colpo di testa. Intelligente e poi qui ci ha segnato abbastanza. Non basta Koulibaly per fermarlo, serve tutta la squadra».
Cosa significherebbe vincere uno scudetto qui?
«Sarebbe meraviglioso, lo scorso anno l’abbiamo solo sfiorato. La città impazzirebbe».
Che allenatore è stato Sarri per lei?
«Con la sua precisione, la maniacalità, ci ha dato un gioco spettacolare. Era divertente, avevamo sempre la palla. Peccato non aver vinto».
E Ancelotti?
«Un altro genere di tecnico. È un maestro, uno che ha vinto tutto. Ha un carattere diverso da Sarri, ci trasmette molta serenità. Lui è fatto così, ha formato un grande gruppo».
Soprattutto non utilizza sempre gli stessi calciatori.
«Tutti si sentono dentro la squadra. C’è maggiore coinvolgimento anche per chi in passato era impiegato meno».
Anche in Champions ci sembra sia un Napoli con uno spessore diverso.
«Ancelotti è il re di quella coppa, lui stesso ci dice sempre che da giocatore e da allenatore ha sempre avuto culo nel vincerla. Speriamo continui ad averne».
Che obiettivi avete realmente in Champions?
«Ci sono squadre più forti di noi, senza dubbio. Noi possiamo ambire a fare una Champions come la Roma lo scorso anno. Chissà».
Tra i quattro allenatori avuti, con chi andrebbe a cena? Ovvero chi è il più simpatico?
«Me li porto tutti, tanto pago io, alla faccia di chi dice che sono tirchio».
Lo si dice di molti brasiliani, perché venendo dalla povertà rispettano la ricchezza e non sprecano denaro.
«Io sono un generoso, dentro e fuori dal campo. Certo, anche io vengo dalla povertà».
Ci racconti.
«Vivevo nelle favelas, case piccole piene di gente. Non c’era molto a disposizione per vivere».
In quelle situazioni si rischia di prendere brutte strade.
«È vero, ma io e i miei fratelli siamo cresciuti mossi da principi sani. La scuola, l’educazione, il lavoro, e naturalmente il calcio…».
Il calcio cosa rappresenta?
«È la mia vita, fin da bambino. Ero per strada in quell’epoca: sempre con la palla tra i piedi. Poi ho cominciato a giocare in una squadra di calcio a cinque, che non era proprio vicino casa: uscivo la mattina, andavo a scuola, poi gli allenamenti. Il lungo tragitto in pullman, tornavo a casa alle dieci di sera. Tanto tempo per prendere quelle brutte strade non ne avevo».
E ora non resta che godersi il momento.
«Per vivere una favola fino in fondo. Vincere qui, sarebbe magnifico. Cominciando dalla partita con la Roma».
«È la mia vita, fin da bambino. Ero per strada in quell’epoca: sempre con la palla tra i piedi. Poi ho cominciato a giocare in una squadra di calcio a cinque, che non era proprio vicino casa: uscivo la mattina, andavo a scuola, poi gli allenamenti. Il lungo tragitto in pullman, tornavo a casa alle dieci di sera. Tanto tempo per prendere quelle brutte strade non ne avevo».
E ora non resta che godersi il momento.
«Per vivere una favola fino in fondo. Vincere qui, sarebbe magnifico. Cominciando dalla partita con la Roma».
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro